Riemann e i numeri primi: l’incredibile scoperta da bambino
Da bambino, Bernhard Riemann scoprì l’esistenza dei numeri primi nella biblioteca della scuola, dove era solito nascondersi per sfuggire alle persecuzioni dei suoi compagni, terrorizzato da ogni forma di interazione sociale.
Terribilmente timido, incapace di reggere le pressioni del mondo esterno, si rintanava nel rassicurante mondo della matematica: timidezza e modestia che contrastavano profondamente con l’audacia sfrontata del suo pensiero scientifico. Riemann comprese ben presto che l’enigma dei numeri primi era una delle sfide più difficili per i matematici e verso i trent’anni si rese conto che la sua funzione zeta gli offriva una visione del tutto inedita ed efficace del problema.
Riemann e i numeri primi: alla ricerca degli “zeri”
Dal caos e dal disordine sembravano emergere schemi e strutture nascoste, era come se, invece di studiare nota per nota una sinfonia musicale, se ne analizzasse la struttura generale. Riemann scoprì che la ricerca degli zeri della funzione zeta gli avrebbe consentito di determinare la distribuzione dei numeri primi (calcolare quanti sono i numeri primi minori o uguali ad un certo numero n) e, fatta eccezione per gli zeri banali (-2,-4,-6,…), ipotizzò che tutti gli altri (infiniti) zeri fossero numeri complessi aventi parte reale pari a 1/2. Ipotesi che non riuscì a dimostrare (almeno così pare), rinunciando a pubblicare molti scritti perché aveva l’impressione che non fossero perfetti, finiti.
Quando morì prematuramente di tubercolosi a soli 39 anni, la sua stanza era nel più completo disordine, piena di fogli e appunti sparsi un pò ovunque. Prima che alcuni membri della facoltà di Gottinga potessero fermarla, la sua governante decise di arrestare l’incontrollato aumento di entropia dello studio di Riemann mandando in fumo molti dei suoi scritti inediti.
Ciò che rimane
Alcuni appunti sopravvissuti alle fiamme della governante furono consegnati alla vedova di Riemann, sparirono per anni per poi ricomparire cinquant’anni dopo. La cosa decisamente frustrante è che da essi si evince che Riemann aveva effettivamente dimostrato molto più di quanto non avesse pubblicato, riguardo le sue scoperte sui numeri primi. Se si tiene conto che l’ipotesi di Riemann nasce da un unico saggio di dieci pagine, si può soltanto immaginare quali tesori siano andati perduti per sempre nel caminetto della cucina di una governante fin troppo sollecita e ansiosa di mettere ordine.
Quelle carte mancanti di Riemann, che forse contenevano la dimostrazione della sua famosa ipotesi, dimostrazione che ad oggi i matematici non sono ancora riusciti ad ottenere, intrigano quanto la nota del 1637, a margine di una copia dell’Arithmetica di Diofanto, in cui Fermat affermò di disporre di una “meravigliosa dimostrazione” del suo teorema, che “non poteva essere contenuta nel margine stretto della pagina”.
I fisici Giuseppe Mussardo e André LeClair hanno recentemente pubblicato un articolo in cui, utilizzando metodi fisici, hanno dimostrato che “while a violation of the Riemann Hypothesis is strictly speaking not impossible, it is however extremely improbable.”