Chimica

Nitinol: il materiale intelligente dalle caratteristiche particolari

Il Nitinol (Nichel Titanium Naval Ordinance Laboratory) è una lega di nichel e titanio presenti in percentuale atomica all’incirca uguale. Fa parte dell’insieme delle Leghe a Memoria di Forma, che a loro volta fanno parte dell’insieme ancora più ampio dei Materiali Intelligenti (o Smart Materials). Questo ci dà una prima indicazione sul perché questo il nitinol, considerato un materiale intelligente, sia tanto interessante, ma andiamo con ordine.

La definizione tecnica di materiale intelligente è: “Un materiale capace di reagire in maniera attiva e adattativa agli stimoli esterni in modo predefinito e ripetibile”. Ovvero, un materiale intelligente è in grado, tramite le sue caratteristiche intrinseche, di cambiare le sue proprietà quando subisce alcune specifiche tipologie di stimolo.

In particolare, il modo di reagire agli stimoli esterni del Nitinol è ciò che lo fa rientrare nel sottoinsieme delle Leghe a Memoria di Forma, ovvero, una volta deformato, riesce a recuperare la sua forma semplicemente surriscaldandolo. Questa sua capacità funziona in ottima sinergia con una seconda proprietà del materiale, ovvero l’Effetto Pseudoelastico (o Superelastico). Questo è molto simile all’effetto memoria di forma, solo che consente al nostro materiale di recuperare la forma non in seguito al surriscaldamento, ma in seguito ad un opportuno sforzo meccanico.

Riassumendo, il Nitinol una volta che viene deformato riesce a recuperare la sua forma originale sia se viene riscaldato, sia se viene caricato con una forza, ma come fa a comportarsi in questo modo? E perché questo ci torna così utile?

Pseudoelasticità, come funziona

Per comprendere il funzionamento della pseudoelasticità, si può partire dal concetto base che prendendo un materiale e facendone uno specifico campione in modo che possa essere caricato lungo una sola direzione (che è una condizione molto più generale a cui si può ricondurre anche un carico più complesso) e provando ad allungarlo, la macchina di prova (che impone l’allungamento al campione e misura la forza necessaria per allungarlo) ci fornisce come risultato quello che vediamo in figura.

Quello che succede al materiale è che, almeno finché non supera il punto di snervamento, se rilasciamo il carico (smettiamo di allungarlo) riesce a recuperare la sua forma originale. In questo tratto del grafico, il materiale ha quindi comportamento elastico, simile appunto a quello che succede ad un elastico quando viene allungato e poi rilasciato. Ciò avviene perché in questo tratto gli atomi che lo compongono si allontanano tra di loro, ma restano ancora disposti come nel materiale di partenza, quindi al rilascio le forze interatomiche lo riportano alla forma precedente.

Dal punto di snervamento in poi invece, se il materiale viene allungato e poi rilasciato, recupera solo una parte (di solito minima) dell’allungamento, la maggior parte delle deformazioni sarà quindi permanente. Questo ha quindi comportamento plastico, possiamo assimilarlo a quello che succede se prendiamo una busta della spesa e la proviamo a deformare, questa resterà della forma che gli abbiamo dato dopo l’allungamento.

Se ripetiamo la stessa prova usando il Nitinol il grafico che si ottiene è:

In questo caso possiamo notare che il comportamento elastico permane per un allungamento molto più ampio del materiale, inoltre la forza registrata durante l’allungamento non è sempre crescente, ma per un tratto tende a rimanere sempre uguale, prima di tornare a crescere di nuovo. In sostanza il Nitinol riesce a recuperare deformazioni molto più ampie di un comune metallo (anche di un ordine di grandezza), ma vediamo a cosa è dovuto questo effetto.

Il Nitinol, così come molti altri materiali, può esistere in due diverse forme allotropiche o fasi, ovvero con diverse disposizioni degli atomi all’interno del suo reticolo cristallino, ovvero l’austenite (di struttura cubica) e la martensite (di struttura monoclina).

Il materiale non deformato (a temperatura ambiente) è in fase austenitica, ma andandolo a deformare ciò che succede è che da un certo punto in poi l’austenite comincia a trasformarsi in martensite (il tratto piatto che abbiamo visto prima) e in queste condizioni il materiale continua ad essere elastico. In questo tratto gli atomi del reticolo, invece di allontanarsi tra loro per via dell’allungamento, si spostano riallineandosi in quella che è la forma della martensite. Completata la fase di transizione il materiale è diventato tutto martensitico ed inizia così il campo elastico del secondo materiale, fino a raggiungere il punto di snervamento. Quella che avviene è in sostanza una transizione di fase, come l’acqua che bolle e diventa vapore, solo che in questo caso non si tratta di una transizione liquido-vapore, ma solido-solido.

Un altro dettaglio importante da specificare è che quando smettiamo di allungare il materiale e gli lasciamo recuperare la sua forma precedente, ciò avviene secondo un percorso differente rispetto a quello dell’allungamento. L’effetto di questo cambio di percorso ha come risultato un effetto smorzante del materiale.

Effetto Memoria di Forma, come funziona

Anche in questo caso possiamo notare che il percorso cambia quando il materiale viene raffreddato rispetto a quando viene riscaldato. Bisogna inoltre precisare che la martensite che si ottiene raffreddando il materiale ha una forma un po’ diversa rispetto a quella che si ottiene deformandolo. Nel dettaglio, il materiale austenitico raffreddato assume la forma di martensite twinned, mentre il materiale deformato assume la forma di martensite detwinned.

Ora vediamo come questo fenomeno ci aiuta nell’effetto a memoria di forma. Se raffreddiamo il materiale in modo da farlo diventare interamente composto da martensite e a quel punto lo deformiamo otteniamo un comportamento come quello mostrato in figura.

In sostanza quando allunghiamo il materiale (stavolta già in condizioni martensitiche) abbiamo una redisposizione degli atomi all’interno del materiale, in questo modo si passa da austenite twinned ad austenite detwinned, questa redisposizione prende appunto il nome di detwinning. Se poi smettiamo di allungarlo, notiamo che allo scarico resta una parte importante della deformazione del materiale che non viene recuperata. Tuttavia, questa deformazione può essere recuperata riscaldando il materiale, riorganizzando nuovamente i suoi atomi e così riportandolo alla sua forma originale (stavolta però in fase austenitica). L’immagine a seguire riassume tutto quello che abbiamo visto finora.

In sostanza, sfruttando questi fenomeni, è possibile addestrare il materiale (come il nitinol, rendendolo di fatto un materiale intelligente) in modo che ricordi una forma a freddo legata alla martensite e una forma a caldo legata all’austenite, ed è possibile farlo passare ciclicamente da una forma all’altra semplicemente variandone la temperatura. Prima di vedere a cosa ci serve questo materiale, serve dare qualche altra precisazione.

Come tutte le leghe metalliche, anche il Nitinol è un materiale elettricamente molto conduttivo, questo ci può dare un ulteriore aiuto per quanto riguarda la gestione dell’effetto a memoria di forma. Per poter attivare quindi un filamento di materiale, è sufficiente che questo venga attraversato da corrente elettrica e si scalderà per Effetto Joule.

Un’altra particolarità di questo materiale è che, nonostante sia composto per circa la metà da Nichel (che come è noto è un allergene molto forte), il Nitinol manifesta un’elevata biocompatibilità, cioè (semplificando molto) non viene rigettato dal nostro corpo.

Da notare come, formalmente quando ci si riferisce alle proprietà meccaniche di un materiale si preferisce riferirsi alla relazione tensione/deformazione piuttosto che (come fatto finora) alla relazione allungamento/forza. Tuttavia, si è preferito utilizzare quest’ultima in quanto allungamento e forza sono parametri più intuitivi da comprendere, in modo da non appesantire ulteriormente il testo.

Nitinol, il materiale intelligente: vediamo a cosa serve

Il primo utilizzo delle leghe a memoria di forma in ambito cardiologico fu per la realizzazione di stent coronarici, dapprima unicamente per le arterie dei cani, poi dal 1987 il suo utilizzo venne esteso anche agli uomini. Solitamente uno stent viene realizzato in una lega metallica biocompatibile (acciaio inossidabile, titanio, ecc.) e, una volta inserito all’interno del corpo umano, espanso contro le pareti del vaso sanguigno gonfiando un palloncino, spesso rischiando di plasticizzarlo. Sfruttando il Nitinol invece è possibile inserirlo nel corpo vincolandolo a rimanere contratto, basterà in seguito rilasciarlo e la temperatura del corpo espanderà fino alla forma originale (stent autoespandibili), evitando così anche eventuali plasticizzazioni del materiale.

Fonte immagine: T. Duerig, A. Pelton, D. Stockel, “An overview of nitinol medical applications”, Materials Science and Engineering A273–275 (1999) 149–160.

Un’altra importante applicazione in ambito cardiovascolare è la realizzazione di filtri di “Simon”. Questi filtri vengono usati per prevenire emboli nei pazienti che non possono sopportare l’assunzione di anticoagulanti, e come dispositivi volti a chiudere i difetti dei setti ventricolari.

Fonte immagine: T. Duerig, A. Pelton, D. Stockel, “An overview of nitinol medical applications”, Materials Science and Engineering A273–275 (1999) 149–160.

Il Nitinol, essendo un materiale intelligente, può anche rappresentare una soluzione alternativa per il trattamento endovascolare della valvola aortica, usandolo nella progettazione di protesi a membrana. Le membrane di Nitinol (chiamate “eNitinol”) sono sufficientemente flessibili da essere usate in una valvola a mezzaluna e sono progettate per comportarsi come un’impalcatura per le cellule endoteliali. Questo tipo di protesi assicura una vita utile pari a quella di una qualsiasi valvola meccanica, ma non necessita di alcuna terapia anticoagulante e permette, in generale, di ridurre le dimensioni della protesi anche in modo significativo.

Fonte immagine: Lorenza Petrini, Francesco Migliavacca, “Biomedical Applications of Shape Memory Alloys”, Journal of Metallurgy, vol. 2011, Article ID 501483, 15 pages, 2011.

La prima applicazione del Nitinol in campo ortodontico risale al 1975 da parte del dottor Andreasen, che effettuò il primo impianto di apparecchio ortodontico realizzato sfruttando l’effetto superplastico della lega. Durante l’inserimento del filo lo si sottopone, tramite un’ampia deformazione, ad una trasformazione in fase martensitica. Una volta posizionato, il materiale è spinto dalla temperatura del cavo orale a ritornare in fase austenitica e recuperare la forma originaria. Inoltre, i fili in Nitinol (a differenza degli altri metalli) permettono di generare una forza costante sulla dentatura anche a seguito di ampi movimenti da parte dei denti, questo effetto è dovuto proprio al tratto piatto del grafico forza/allungamento che abbiamo visto in precedenza.

Il nitinol, essendo un materiale intelligente, viene spesso inserito negli archi palatali dei distrattori ortodontici, sempre per il vantaggio di poter generare una forza costante sulla dentatura sfruttando il plateau della curva forza/spostamento vista in precedenza. È possibile, tramite graffette, spaziatori e piastrine, sfruttare le forze generate dalle leghe a memoria di forma durante il cambiamento di fase da martensitica ad austenitica per il trattamento delle fratture ossee.

Questi dispositivi vengono deformati in fase martensitica ed in seguito introdotti nel corpo dove è presente la frattura, il calore del corpo induce l’effetto a memoria di forma che a sua volta induce una forza costante sulle parti fratturate in modo da riuscire facilmente a tenerle unite.

Fonte immagine: Lorenza Petrini, Francesco Migliavacca, “Biomedical Applications of Shape Memory Alloys”, Journal of Metallurgy, vol. 2011, Article ID 501483, 15 pages, 2011.

Inoltre, la capacità di questa lega (il cosiddetto nitinol, un materiale intelligente) di poter essere facilmente attuata, la rende facilmente impiegabile per strumenti di microchirurgia e chirurgia ortodontica, ad esempio per attrezzature necessarie per realizzare microtagli e negli strumenti per uso ortodontico che devono operare in spazi molto ristretti o su aree molto piccole (frese, lime, ecc.).

Fonte immagine: T. Duerig, A. Pelton, D. Stockel, “An overview of nitinol medical applications”, Materials Science and Engineering A273–275 (1999) 149–160.

Allontanandoci ora dal campo biomedico, è possibile realizzare bracci robotici prensili, sfruttando le ampie dilatazioni e contrazioni dei filamenti di Nitinol, che possono essere comandati semplicemente scaldando il filamento, senza dover posizionare dei micromotori o microattuatori su ogni giuntura.

Fonte immagine: F. Gao, H. Deng, Y. Zhang, “Hybrid actuator combining shape memory alloy with DC motor forprosthetic fingers”, Sensors and Actuators A 223 (2015) 40–48.

Per lo stesso principio si possono utilizzare per controllare i flap degli aerei.

Un altro utilizzo molto curioso è nella distruzione delle rocce per realizzare scavi. Si parte realizzando una nicchia all’interno della roccia e all’interno di questa viene inserita un’attrezzatura dove un corpo realizzato in Nitinol agisce comprimendo dei cunei realizzati in materiale estremamente duro contro le pareti della nicchia, andando a generare delle crepe nella struttura e quindi rendendola più difficile da scavare poi con altri mezzi.

Articolo a cura di Sergio Rinaldi

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