Sabato 17 dicembre 1938, Berlino, Istituto Kaiser Wilhelm per la Chimica. Mentre fuori fervono i preparativi per il Natale, Otto Hahn, probabilmente il miglior radiochimico della sua generazione, è al lavoro con il suo assistente, Fritz Strassmann. Tutto è pronto per l’esperimento cruciale: poche le attrezzature, da una parte una sorgente di neutroni, dall’altra un paio di grammi di ossido di uranio. Una scarica, la separazione per cristallizzazione frazionata e l’analisi chimica e fisica dei prodotti che ne risultano porta ad una sorpresa che lascia senza parole.
Bombardando nuclei di uranio con neutroni lenti ci si aspetterebbe di ottenere elementi più pesanti, “transuranici”, come se l’uranio avesse assorbito, “incorporato” il neutrone che poi, attraverso il decadimento beta, si sarebbe trasformato in un protone. E invece c’è un altro, inatteso elemento. Non è affatto un transuranico ignoto e non è nemmeno radio, l’elemento cercato da Hahn e Strassmann.
Quello che i due chimici tedeschi hanno ottenuto è una certa quantità di bario, un elemento con un numero atomico quasi metà di quello dell’uranio. Come è possibile? Anche supponendo che il neutrone proiettile colpisse un punto particolarmente debole della struttura, come potevano essere sparate via decine di protoni in un solo impatto? Il nucleo non era come un crostone roccioso soggetto a sgretolarsi; nessuno si aspettava di spaccare a metà un masso enorme semplicemente scagliandogli contro un sassolino.
Due giorni dopo, lunedì 19 dicembre, Otto Hahn scrive finalmente alla sua amica ed ex collega Lise Meitner, la quale, essendo ebrea, è da poco fuggita in maniera rocambolesca dalla Germania e ora si trova a Stoccolma. La Meitner è una fisica molto brava con cui Hahn ha collaborato per trent’anni, prima che le assurde leggi razziali sconvolgessero tutto. Hahn le annuncia il clamoroso risultato, chiedendo lumi:
“Cara Lise!… Si è verificato qualcosa di così straordinario che per ora ne facciamo cenno soltanto a te… Forse puoi suggerire una qualche eccellente spiegazione… Se c’è qualcosa che puoi proporre per una pubblicazione, allora ci sarà ancora lavoro per noi tre”.
Hahn non le sta chiedendo di firmare insieme un articolo. È consapevole del fatto che per motivi politici ciò non è possibile, ma sa che il “progetto uranio” è ancora un progetto a tre e che Lise ne rappresenta il leader virtuale. D’altra parte è lei che ha progettato l’apparato sperimentale per il bombardamento dell’uranio con neutroni lenti ed è a lei, pertanto, che Hahn chiede di collocare il fenomeno chimico rilevato in un coerente quadro fisico.
Il 21 dicembre Lise scrive a Otto:
“Siete sicuri dei risultati? Mi sembra impossibile che i neutroni lenti possano trasmutare l’uranio in bario. Ma è anche vero che la storia della fisica nucleare ci ha insegnato che nulla è impossibile”.
Hahn leggerà questa lettera due giorni dopo, ma quello stesso giorno, il 21 dicembre, anche lui scrive a Lise:
“Come sarebbe bello ed eccitante ora se potessimo ancora lavorare insieme come prima”. E da chimico sicuro del fatto suo, poi aggiunge: “Non puoi liquidare i nostri risultati, anche se sono forse fisicamente assurdi. Vedi, tu farai una grande cosa se troverai un modo per spiegarli”.
Nel frattempo, Hahn non aspetta la risposta dell’amica e, con l’intento di mettere al sicuro la priorità della scoperta chimica, il 22 dicembre invia una nota a “Naturwissenschaften”: “Sulla prova e il comportamento dei metalli alcalino-terrosi nella irradiazione a mezzo dei neutroni che si sviluppano dall’uranio”. L’articolo è firmato soltanto da Hahn e Strassmann. Il nome di Lise, una “non ariana”, non può comparire accanto a quello di due “ariani”, non solo su una rivista tedesca, ma su una qualsiasi rivista straniera. Nella Germania di Hitler, i “due ariani” pagherebbero un prezzo troppo alto, in caso contrario.
Una coppia di amici al corrente del fatto che Lise Meitner è sola a Stoccolma, la invita a trascorrere le vacanze di Natale in un hotel vicino a Kungalv, una località turistica sulla costa occidentale della Svezia. Così, il 23 dicembre 1938, Lise si sposta a Kungalv dove in tarda serata la raggiunge il nipote, Otto R. Frisch, cui l’invito è esteso.
Lise conosce le capacità del nipote sin da quando era uno studente di scienze e fisica molto diligente a Berlino, una decina d’anni prima. Spesso suonano insieme il pianoforte, nonostante lei abbia qualche problema a stargli al passo: in particolare, si divertono a tradurre l’espressione “Allegro ma non troppo” con “Veloce, non come la zia”. Otto ora è diventato un uomo maturo e un fisico promettente, che lavora all’istituto di fisica di Niels Bohr in Danimarca.
La sera del 23, essendo arrivato piuttosto tardi, non è nelle condizioni migliori per disquisire su argomenti scientifici. La mattina successiva, quando scende nel ristorante dell’hotel per la prima colazione, trova la zia alle prese con la lettera di Hahn. Il bario che Hahn e Strassmann hanno ottenuto bombardando uranio con neutroni lenti è un’anomalia che né loro né la Meitner riescono a spiegarsi. Frisch suggerisce che ci sia un errore sperimentale e che i dati siano sbagliati, ma la zia capisce che non è così: Hahn non è un genio, ma è un ottimo chimico; altri laboratori possono forse commettere errori, ma il suo no, di certo.
Restano a tavola fino a quando il nipote non termina la sua colazione, continuando a scambiarsi opinioni sull’argomento. Quindi, decidono di andare a fare una passeggiata sotto la neve. L’hotel dove alloggiano sorge a poca distanza da una foresta e Frisch si infila gli sci ai piedi, invitando la zia a fare altrettanto, ma lei declina l’invito sostenendo di poter camminare più veloce senza sci. Ad un certo punto, in mezzo alla neve, in compagnia del nipote, Lise si ferma nei pressi di un tronco d’albero, ed entrambi si siedono a riflettere.
Seguendo una ipotesi fatta dal fisico russo George Gamow, Bohr ha da poco avanzato l’idea che un nucleo atomico assomigli più ad una goccia di liquido che ad una palla da biliardo; non quindi un oggetto duro e stabile, ma qualcosa che si muove di continuo, che oscilla e tremola, con delle forze che non solo agiscono su di esso, ma dentro di esso, spostandolo in diverse direzioni. Tra queste forze presenti nel nucleo atomico c’è la repulsione elettrostatica che i protoni esercitano uno sull’altro.
Lise e il nipote hanno con sé carta e matita e, nella fredda foresta svedese, li estraggono e cominciano i loro calcoli. Che cosa sarebbe successo se il nucleo di uranio fosse stato così grande, così pesante, con tanti neutroni interposti tra i protoni, da trovarsi in uno stato poco stabile ancor prima che se ne spingessero altri all’interno artificialmente? Tale nucleo si sarebbe comportato come una goccia d’acqua molto grossa, sul punto di spargersi tutt’intorno. Cambia quindi la concenzione fisica del nucleo.
Lise inizia a tracciare le oscillazioni, e poiché è brava a disegnare quanto lo è a suonare il pianoforte, tocca a Frisch toglierle gentilmente di mano la matita e fare gli schizzi. Ecco spiegato ciò che accade nel nucleo dell’uranio quando i neutroni lenti penetrano al suo interno: invece dell’uranio che assorbe un neutrone, è quest’ultimo a colpire il nucleo tremolante (che essi raffigurano come un palloncino pieno d’acqua), facendolo oscillare sempre più finché non si divide a metà.
La ragione per cui Hahn non riesce a interpretare il fenomeno è da imputare alla sua convinzione che i neutroni che si vanno ad aggiungere, renderebbero più massiva la sostanza. In realtà, egli ha spezzato a metà l’uranio. Frisch e Meitner comprendono anche che tale scissione comporta il rilascio di una grande quantità di energia, precisamente quella che tiene legati insiemi i nucleoni (protoni e/o neutroni) dei nuclei di uranio.
Ma quanta energia viene rilasciata? Lise sa che i pezzi separati del nucleo spaccato di uranio – uno di bario, l’altro di krypton – hanno una massa complessiva leggermente minore di quella del nucleo di partenza, di un valore pari a un quinto della massa di un protone. Ora, quando scompare della massa, si produce energia, in accordo con la famosa formula di Einstein, E=mc^2. I due scienziati attraversano un fiume ghiacciato in cui si sono imbattuti sul loro cammino, fuori Kungalv. La cittadina è così lontana che il silenzio non è turbato da alcun rumore. Lise fa i calcoli: un quinto della massa fisica di un protone corrisponde a 200 MeV, cioè 200 milioni di elettronvolt, esattamente l’ammontare di energia che Frisch e Meitner hanno calcolato essere necessaria per separare i protoni. Tutto quadra! Frisch e Meitner hanno compreso tutto, la vigilia di Natale del 1938.
Vuoi sapere come prosegue la storia? Leggi l’articolo dedicato: I due fisici in grado di distruggere la Terra, per poco.