Fisica

Le “bugie” della scienza: studio sulle radiazioni e la scoperta dei raggi N

Dopo che furono scoperti i raggi X e i “raggi uranici” (la radioattività), rispettivamente nel 1895 e nel 1896, nei laboratori di tutto il mondo si diffuse una spasmodica ricerca di nuove forme di radiazione. Nel 1903, René Blondot, professore dell’Università di Nancy, in Francia, nel corso di un esperimento in cui aveva provato tra l’altro a far passare i raggi X attraverso un prisma di quarzo, notò “con la coda dell’occhio” che la scintilla elettrica del rilevatore diventava più luminosa. Dal momento che era stato dimostrato che i raggi X non si deflettono passando in un prisma di quarzo, il fisico francese pensò di aver scoperto una nuova classe di raggi che chiamò “raggi N”, in onore della sua città.

Tra il 1903 e il 1906 vennero pubblicati più di 300 articoli sui raggi N da parte di oltre 100 ricercatori, che confermarono i risultati di Blondot. L’aspetto più affascinante del fenomeno era l’ipotesi che tali raggi fossero emessi non solo da oggetti precedentemente esposti al Sole, ma persino dal corpo umano. Per quanto deboli fossero le radiazioni emanate dal cervello umano, la loro scoperta garantiva una nicchia nella storia della scienza a Blondot che, ormai lanciato verso il premio Nobel per la fisica, nell’agosto del 1904 ricevette dall’Académie des Sciences il premio Leconte e una somma di 20.000 franchi.

L’esilarante scoperta dei raggi N, o forse no

L’umanità, scrissero i giornali dell’epoca, stava cavalcando una nuova onda, forse più travolgente della scoperta degli stessi raggi X. Tuttavia, alcuni ricercatori restavano perplessi. Il fisico Heinrich Rubens, convocato dal kaiser Guglielmo II, ansioso di vedere questi celebri raggi N, non riuscì a mostrargli nulla, sebbene Blondot gli avesse cortesemente inviato dettagliate istruzioni.

In occasione di un convegno a Cambridge, discutendo con altri colleghi scettici, Rubens suggerì di mandare al laboratorio di Blondot un suo ex allievo, il fisico americano Robert Wood, che in quel periodo si trovava in Europa. Nessuno scienziato, infatti, inglese, tedesco, o americano, era riuscito a ottenere gli stessi risultati e tutta la documentazione al riguardo proveniva dai laboratori francesi.

Il 21 settembre 1904 Wood si presentò nel laboratorio di Nancy, accolto dagli scienziati francesi con una dimostrazione dell’esistenza dei misteriosi raggi N, in grado di penetrare qualsiasi cosa tranne il legno (“wood” in inglese significa “legno”, una singolare coincidenza!). Wood si accomodò quindi nel laboratorio di Blondot, l’assistente spense le luci e gli chiese di guardare attraverso la lente del macchinario. Wood non vide nulla.

Notando che l’unica prova dell’esistenza dei raggi N era nelle presunte variazioni dello sfarfallio irregolare di una scintilla elettrica, Wood senza farsi vedere rimosse furtivamente il prisma di alluminio dallo spettroscopio. Nonostante la rimozione di un elemento fondamentale dall’apparecchio sperimentale, Blondot continuò imperturbabile l’esperimento, come se niente fosse. Prima che le luci fossero riaccese, Wood rimise a posto il pezzo. Insospettito dalle manovre del fisico americano, l’assistente di Blondot intervenne affermando che non si vedeva più niente, anche se il prisma era tornato al suo posto.

Pochi giorni dopo la visita, Wood pubblicò sulla rivista “Nature” una breve lettera in cui dava conto della sua visita, sostenendo di “non essere in grado di riportare una singola osservazione che sembri indicare l’esistenza dei raggi” ed esprimendo “la ferma convinzione che chi ha ottenuto risultati positivi si sia in qualche modo illuso”. In modo semplice e schiacciante, Wood dimostrò che i raggi N non esistevano se non nell’immaginazione eccessivamente ottimistica di Blondot.

Dal punto di vista dell’errore, risulta difficile da capire non tanto la cantonata presa da Blondot, quel giorno del 1903, quando ha interpretato un effetto ottico come segnale di una nuova forma di radiazione. Lasciano sbalorditi, piuttosto, le centinaia di articoli pubblicati fino al 1906, i grandi scienziati come Poincaré che continuarono a difendere Blondot, spronandolo a proseguire le sue ricerche.

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Vincenzo Giordano