Curiosità e Consigli

Uragani atlantici: perché sono sempre di più e sempre più forti

Negli ultimi anni gli uragani atlantici stanno destando molta attenzione per via delle loro caratteristiche sempre più pericolose per l’uomo. Non che questi eventi non siano mai accaduti, ma ultimamente stanno creando apprensione per le modalità con cui si verificano. Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capirne il perché.

Cos’è e quando si formano gli uragani atlantici

Con questo termine si indica un ciclone tropicale che si forma nell’Oceano Atlantico, ovvero un sistema tempestoso che origina in acque tropicali e sub-tropicali. Sono caratterizzati da un centro di bassa pressione, più caldo rispetto all’area circostante, generato dal calore rilasciato dalle acque dell’oceano. Le forze rotatorie della Terra vanno poi a formare i movimenti rotatori di queste masse di aria calda che danno vita ai venti e alle intense precipitazioni che conosciamo, con velocità che possono raggiungere un massimo di 119 km/h.

La maggior parte degli uragani si forma durante il periodo compreso tra il 1° giugno e il 30 novembre, quando la temperatura delle acque dell’Oceano Atlantico è più alta. Chiaramente le date sono indicative, per questo ogni anno la stagione può avere una qualche variazione, con la formazione di un uragano in anticipo o in ritardo rispetto al periodo indicato. Una volta formatosi, il ciclone tende a spostarsi verso latitudini più alte fino a esaurirsi o a trasformarsi in una tempesta extra-tropicale.

Cosa sta cambiando negli ultimi anni?

Negli ultimi anni il numero di uragani atlantici sta aumentando e, come se ciò non bastasse, anche la loro intensità appare in netta crescita. Secondo uno studio pubblicato su Weather and Climate Dynamics, gli uragani sono due volte più intensi rispetto a 40 anni fa.

Ciò comporta un aumento della pericolosità di questi fenomeni, che nel caso colpiscano zone abitate, oltre ai danni arrecati alle aree colpite, possono causare anche vittime tra la popolazione. I venti sono così forti che hanno la capacità di devastare edifici e fabbricati, trascinando parti di essi per lunghi tratti e trasformandoli in pericolosissimi proiettili pronti a colpire tutto ciò che incontrano sul loro cammino.

Va detto però che il database degli Uragani Atlantici (o HURDAT) contiene osservazioni dal 1851, ma fino all’inizio del XX secolo la quantità di eventi non rilevati è ragionevolmente molto alta. Dal 1944 sono iniziate le ricognizioni aeronautiche, che hanno incrementato la copertura di mappatura degli uragani, anche se una cospicua parte dell’Atlantico non era ancora coperta. Solo dal 1966 sono diventate disponibili le immagini satellitari giornaliere, consentendo la formazione di una grande mole di dati statistici.

È però evidente che qualcosa sta accadendo. Nonostante quanto detto sopra, risulta chiaro che stiamo assistendo a una crescita di questi fenomeni violenti, basta guardare i dati degli ultimi due anni. Nel 2021 ci sono state 18 tempeste tropicali e 13 uragani, di cui 3 di forte intensità. Nel 2020 siamo arrivati addirittura a 30 tempeste tropicali e 13 uragani, di cui 7 di forte intensità.

Tutto è legato all’attività umana

Di recente è stato pubblicato su Nature Communications lo studio di un gruppo di ricercatori (appartenenti alla Stony Brook University, al Lawrence Berkeley National Laboratory e alla Pennsylvania State University) che evidenzia la relazione tra l’incremento di questi fenomeni così violenti e i cambiamenti climatici legati all’attività dell’uomo. La causa principale risiede nell’aumento della temperatura superficiale dell’acqua, innalzatasi di circa un grado rispetto al periodo preindustriale. Dallo studio risulta che questo aspetto ha comportato l’aumento dell’intensità delle precipitazioni di circa il 10%.

Ma cosa possiamo fare per risolvere la situazione? Acclarato l’evolversi della situazione, non rimane che procedere con due tipi di azioni: una preventiva e l’altra riparatrice. La prima è rappresentata dalle misure introdotte dal NOAA per allertare e proteggere la vita e le proprietà di chi risiede nelle aree colpite, aiutando queste persone anche nella fase di ripartenza successiva all’evento tempestoso. La seconda, invece, è quella che tutti auspichiamo: un cambiamento di rotta nelle politiche nazionali e internazionali per poter riparare ai danni arrecati al nostro pianeta.

A cura di Nicola Alberico.

Published by
Redazione