L’incidente di Seveso è stato un grave disastro ambientale e industriale, che ha investito le istituzioni politiche in un momento delicato della storia italiana. Alcuni dei problemi che emersero da quell’evento, come gli aborti per evitare nascite con gravi malformazioni e la bonifica della zona contaminata, andarono a lacerare la fragile trama degli equilibri politici nazionali e della regione Lombardia.
Il disastro di Seveso, oltre a costituire un indicatore delle dinamiche di quel passaggio politico-istituzionale, è stato anche un punto di svolta in quanto ha portato l’Europa ad emanare una direttiva sul rischio di incidente rilevante nell’industria di processo e, allo stesso tempo, è stato un primo approccio nel percorso di costruzione di una coscienza ecologista in Italia.
Il disastro di Seveso è il nome con cui si ricorda l’incidente, avvenuto il 10 luglio 1976, nell’azienda ICMESA, che causò la fuoriuscita e la dispersione di una nube di diossina TCDD (tetracloro-dibenzo-diossina), pericolosa e molto tossica. Tale sostanza contaminò una grande estensione di terreni di Seveso e dei comuni limitrofi. Il Disastro di Seveso è stato il primo evento di perdita di diossina da un’industria e ha provocato gravi effetti sulla popolazione e sull’ambiente circostante. Secondo una classifica del 2010 del periodico Time, l’incidente è all’ottavo posto tra i peggiori disastri ambientali della storia.
Verso le 12 di sabato 10 luglio 1976, nello stabilimento della società ICMESA, il sistema di controllo di un reattore chimico, destinato alla produzione di triclorofenolo (componente di diversi diserbanti), subì un danno e la temperatura aumentò moltissimo.
La causa prima fu probabilmente l’arresto volontario della lavorazione senza azionare il raffreddamento della massa, e quindi senza contrastare l’esotermicità della reazione. L’esplosione del reattore venne evitata dall’apertura del disco di rottura, ma l’alta temperatura raggiunta aveva causato una modifica della reazione che comportò una massiccia formazione di diossina TCDD.
La fuoriuscita di diossina nell’aria in quantità non definita venne trasportata dal vento e si formò così una nube tossica che colpì i comuni limitrofi e soprattutto Seveso, in quanto situato immediatamente a sud della fabbrica. I primi segni avvertiti dalla popolazione furono un odore pungente e infiammazioni agli occhi.
Lunedì 12 luglio la fabbrica riaprì regolarmente e la produzione venne sospesa in un solo reparto. Nei giorni successivi la situazione si rivelò però più grave di quanto non avessero prospettato i responsabili dell’ICMESA: i conigli e gli animali da cortile cominciarono a morire, l’erba ingialliva, le foglie si laceravano, la corteccia degli alberi si staccava dai tronchi.
Soprattutto, i bambini che abitavano nell’area circostante allo stabilimento, iniziarono ad accusare gonfiore al volto e arrossamento agli occhi e alcuni tra loro presentavano il viso gravemente deturpato da violente eruzioni cutanee, che successivamente sarebbero state diagnosticate come cloracne.
Solo dopo sette giorni la notizia apparve sui giornali. Il territorio di Seveso a ridosso dell’ICMESA fu suddiviso in zone a decrescente livello di contaminazione sulla base delle concentrazioni di diossina nel suolo. Nell’area più inquinata, il terreno fu asportato e depositato in vasche; fu poi collocato un nuovo terreno ed effettuato un rimboschimento, che ha dato origine al Parco naturale Bosco delle Querce.
Nel 1976 in Italia c’era un vuoto legislativo, cioè non vi era nessuna norma specifica per il controllo sul rischio di incidenti rilevanti nelle industrie di processo. Poiché il disastro di Seveso ha avuto grande scalpore, l’Europa nel 1982 ha emanato la Direttiva Seveso I, la quale è stata recepita in Italia nel 1988 con il Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) numero 175, che poi ha subito diverse modifiche. Attualmente in Europa è in vigore la Direttiva Seveso III, recepita in Italia nel 2015 con il Decreto Legislativo numero 105.
La ratio della prima direttiva risiede nel fatto che i gestori, nonché i proprietari di depositi ed impianti in cui sono presenti determinate sostanze pericolose, in quantità tali da poter dar luogo a incidenti rilevanti, sono tenuti ad adottare idonee precauzioni al fine di prevenire il verificarsi di incidenti: tale prevenzione deve essere attuata mediante la progettazione, il controllo e la manutenzione degli impianti industriali e il rispetto degli standards di sicurezza fissati dalla normativa stessa.
La Direttiva Seveso si applica quindi agli stabilimenti caratterizzati dalla presenza di sostanze o miscele pericolose in quantità superiori ai limiti consentiti. L’elenco delle sostanze pericolose è contenuto nell’Allegato I del D.lgs. 105/15, diviso in due parti:
Sebbene l’attuale consapevolezza e l’attenzione ai pericoli connessi agli incidenti industriali debbano sicuramente essere migliorate, è altrettanto indubbio che rispetto a 40 anni fa è significativamente cresciuta la conoscenza e la comprensione di determinati eventi nonché la percezione del “rischio” ad essi correlato in tutti gli “attori” coinvolti: dai decisori politici, ai tecnici, fino ad arrivare alle popolazioni interessate.
È infatti proprio negli anni del disastro di Seveso che nascono norme fondamentali per la tutela dell’ambiente: sicuramente le Direttive Seveso, ma anche le normative in materia di Valutazione dell’Impatto Ambientale (VIA), di Valutazione Ambientale strategica (VAS), di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento con il rilascio delle Autorizzazioni Integrate Ambientali (AIA) e di rifiuti.
È importante notare quindi come un evento tanto tragico e drammatico, come l’incidente di Seveso, sia stato l’elemento scatenante per innescare un processo evolutivo che ha portato allo sviluppo di metodologie finalizzate a individuare e a contenere i rischi associati ad un incidente rilevante, ma ha anche aumentato l’attenzione rivolta verso tutte le problematiche ambientali e le possibili conseguenze ad esse associate.
Una corretta percezione del rischio reale, delle effettive conseguenze correlate ad un evento incidentale e l’oggettiva informazione sulle condizioni di sicurezza dello stesso, potrebbero quindi indirizzare, sia gli addetti ai lavori sia i singoli cittadini, verso una valutazione più adeguata del rischio.
A cura di Adriana Montalbano.