Proprio mentre ci troviamo a vivere quella che speriamo essere la fase discendente dell’emergenza Covid, nuove ombre si presentano all’orizzonte. Secondo un recente studio di un gruppo di ricercatori guidati dalla Georgetown University, nei prossimi anni aumenterà la possibilità che nuove pandemie possano attaccare il genere umano, passando attraverso qualche inaspettato salto di specie animale. Sarà il cambiamento climatico responsabile del salto di specie di altri virus pericolosi per l’uomo?
Lo studio, pubblicato su Nature lo scorso aprile, attribuisce la causa principale al cambiamento climatico. L’innalzarsi della temperatura sta obbligando, e lo farà ancor di più in futuro, alcune specie a migrare dal loro abituale habitat per spostarsi in nuove aree mai occupate prima con un clima meno caldo. Ove una di queste aree fosse densamente abitata dall’uomo, si verrebbe a creare una pericolosa coesistenza.
L’aumento di temperatura di 1-2° potrà pur sembrare qualcosa di poco conto, ma non è affatto così. Il riscaldamento porta allo spostamento di specie animali in zone dove non erano mai state prima, rischiando che vadano a convivere a stretto contatto con l’uomo. Questo significa che in quest’area vengono introdotti tutti i virus che appartengono a quella specie animale e per i quali nessuna delle specie già presenti è preparata. Queste migrazioni interessano anche intere popolazioni di persone.
La conseguenza è la possibilità che questi virus vengano trasmessi a specie animali che possano consentire il salto virale verso l’uomo, se non addirittura il passaggio diretto all’uomo. Per questa ragione la preoccupazione spesso riguarda i mercati animali, dove molte specie si trovano a contatto tra loro, a volte anche in condizioni ambientali malsane. Negli ultimi anni è diventato noto il mercato di Wuhan proprio per il ruolo che questo aspetto potrebbe aver giocato nell’ultima pandemia di coronavirus.
Con lo spostamento delle specie animali, le condizioni critiche evidenziate di solito solo nei mercati si verificano su una scala maggiore, ovvero su tutta l’area oggetto della migrazione. Se questa situazione la immaginiamo ripetuta in più zone del nostro pianeta, ecco che il mondo assume un po’ ovunque le problematiche di un grande mercato animale.
Il problema principale è che molto spesso sono gli animali selvatici, con il loro vasto patrimonio virale, a migrare in zone prima mai occupate. Un esempio su tutti è rappresentato dai pipistrelli, animali selvatici con una grande predisposizione al passaggio virale e con la capacità di percorrere lunghe distanze. Qui verrebbero a contatto per la prima volta con altre specie di mammiferi, con le quali potrebbero condividere migliaia di virus.
Pertanto, i virus patogeni in grado di dare il via a una pandemia, come per esempio l’ebola, potrebbero arrivare in zone dove non sono stati mai presenti. La cosa peggiore è che potrebbero essere anche più complicati da rintracciare, perché magari presenti in specie inaspettate. Basti pensare che già nel 2019 uno studio ipotizzava che nel corpo dei mammiferi fossero presenti più di 40.000 virus, di cui un quarto potenzialmente infettante per l’uomo.
Lo studio ipotizza che il cambiamento climatico diverrà la principale causa d’insorgenza di nuovi virus pandemici, anche più di deforestazione, commercio di animali esotici e allevamenti intensivi. Cercare di eliminare la causa in tempi brevi appare pertanto molto difficile, in quanto non è possibile “spegnere” il riscaldamento globale dall’oggi al domani. Le misure per contrastare problemi futuri dovranno quindi riguardare due aspetti distinti.
Il primo è quello di applicare un monitoraggio alle migrazioni degli animali selvatici, affinché si possano individuare eventuali passaggi tra specie in maniera tempestiva. D’altronde il salto virale mette in pericolo anche la stessa specie animale attaccata, che può vedere messa a rischio la sua stessa conservazione. Sarà quindi necessario un costante controllo delle malattie della fauna selvatica.
Colin Carlson, primo autore dello studio, afferma che:
Quando un pipistrello dalla coda libera brasiliano arriva fino alla regione degli Appalachi, dovremmo preoccuparci di sapere quali virus lo stanno accompagnando. Soltanto cercando di individuare in tempo reale questi salti di specie saremo capaci di impedire che il processo si traduca in altri spillover o altre pandemie.
Il secondo aspetto su cui agire è quello del potenziamento dell’assistenza sanitaria, incrementandone i mezzi e la copertura, ma anche della ricerca. E questo assume maggior rilievo soprattutto se consideriamo quali aree sembrano essere più sensibili a questo rischio nei prossimi 50 anni: Africa equatoriale, Cina meridionale, India e sud-est asiatico.
A cura di Nicola Alberico