Già Galileo Galilei si era posto la questione sulla possibilità di descrivere matematicamente la forma che assume una catena appesa sotto l’effetto del proprio peso. Inizialmente, il celebre scienziato italiano aveva pensato alla parabola – curva con la quale era già stato in grado di descrivere il moto parabolico –, ma si rese presto conto che questa non era in grado di descrivere esattamente la forma della catena.
Tuttavia, Galileo notò che quando la catena veniva tesa diventando sempre più orizzontale, allora la sua forma poteva essere approssimata da una parabola. La risposta al problema, però, arrivò solo verso la fine del XVII secolo ad opera di tre fra le più grandi menti matematiche del tempo: Christiaan Huygens, Jakob Bernoulli e Gottfried Leibniz. Il contributo dei tre scienziati portò alla formulazione di una curva trascendente – ovvero tale da non poter essere descritta da un’equazione algebrica – in grado di predire accuratamente la forma della catena appesa: la curva catenaria. Il termine “catenaria” comparve per la prima volta in una lettera che Huygens scrisse a Leibniz nel 1690 e da allora il nome è rimasto in uso. Dopo più di tre secoli, questa equazione trova ancora importanti applicazioni in ambito ingegneristico. Per esempio, nelle costruzioni l’arco catenario – ovvero un arco a forma dell’omonima curva rovesciata – è quello che permette di distribuire in modo omogeneo il carico. Senza contare poi tutte quelle applicazioni nel settore dei trasporti, come funivie e i cavi per alimentare i treni, dove è indispensabile prevedere la tensione nel cavo così come la forma che questo assume.
La derivazione della catenaria non è per nulla banale in quanto presuppone delle conoscenze matematiche piuttosto avanzate. Ad ogni modo, l’equazione della curva può essere ottenuta imponendo l’equilibrio delle forze che agiscono su un elemento infinitesimo – ovvero molto piccolo – della catena, la quale viene approssimata come una fune non estensibile. Immaginando la catena appesa alle sue estremità e sottoposta alla sola azione del suo stesso peso, un suo elemento sarà caratterizzato dalla forza di tensione e, ovviamente, dalla sua forza peso. Il risultato della dimostrazione porta all’equazione della catenaria, la quale può essere descritta in modo equivalente dalla somma di due funzioni esponenziali o – in modo molto più compatto – dal coseno iperbolico.
Da un punto di vista prettamente matematico il significato della costante a corrisponde alla quota del vertice della catenaria rispetto all’origine del sistema di riferimento x-y, mentre da un punto di vista più tecnico la costante a è legata alla distribuzione di tensione nella fune.
Verificare l’efficacia della catenaria nel predire la forma di un cavo appeso è piuttosto semplice: per farlo si può ricorrere ad un semplice esperimento. Abbiamo preso una catena e l’abbiamo appesa a due estremità lasciandola cadere sotto l’azione del suo stesso peso. Dopodiché abbiamo scattato una foto e abbiamo scalato l’immagine in modo da poter estrarre le coordinate della catena rispetto ad un sistema di riferimento arbitrario.
Dalle coordinate così ottenute si può poi verificare che la curva che meglio descrive la forma della catena è la catenaria, proprio come ci aspettavamo. Infatti, come si può notare dal grafico, i punti ottenuti sperimentalmente dalla foto della catenella combaciano perfettamente con la curva catenaria, mentre lo stesso non si può dire per la parabola.
L’equazione della catenaria, come detto, viene dimostrata a partire da delle considerazioni meccaniche e perciò è anche possibile estrapolare dalla curva le informazioni necessarie per calcolare la tensione nella fune. Ad esempio, considerando un cavo in acciaio dal diametro di due centimetri, lungo 262 centimetri e appeso alle sue estremità ad un metro da terra, si ha che la tensione nel cavo varia da un minimo di 18,4 N al vertice del cavo fino a 36,5 N alle estremità. Il risultato è in accordo anche con ciò che ci si potrebbe aspettare intuitivamente dalla situazione considerata: man mano che dal vertice si risale la fune fino all’estremità, l’elemento successivo della fune deve sostenere una quantità sempre maggiore peso e quindi la tensione aumenta.
Articolo a cura di Axel Baruscotti