Cannabis: tassonomia e caratteristiche delle diverse varietà
Conosciuta e coltivata fin dall’antichità, la cannabis rappresenta oggi una notevole risorsa per diverse tipologie di industria, da quella tessile fino a quella bioedilizia. Al contempo, questa pianta diffusa in tutto il mondo è costantemente al centro del dibattito politico – in Europa e non solo – in quanto viene utilizzata anche per produrre sostanze psicoattive, quali la marijuana e l’hashish. Soprattutto in relazione a quest’ultimo aspetto, si parla spesso di due varietà principali, “sativa” e “indica”, sottolineando come siano contraddistinte da specifiche differenze (in virtù di effetti fisici ben distinguibili). In realtà, non è esattamente così; la tassonomia della canapa è piuttosto complessa e, nonostante i primi rilievi risalgano al 18° secolo, tutt’oggi vengono utilizzate classificazioni diverse, proposte da vari studiosi nel corso degli anni.
Tassonomia della Cannabis: dalle origini al 20° secolo
Il gene della pianta di cannabis venne classificato per la prima volta, secondo i parametri della moderna tassonomia. A metà del Settecento da Carlo Linneo (nome italianizzato di Carl Linnaeus, un celebre botanico svedese). Tutt’oggi, si è soliti fare riferimento alla canapa, intesa come specie vegetale, con la nomenclatura di “Cannabis sativa L.”, dove la “L” sta per “Linnaeus”. Questi considerò inizialmente la canapa come una specie monotipica, ossia costituita da una sola varietà (che denominò, appunto, “sativa Linnaeus”).
Nel 1785, però, il biologo francese Jean-Baptiste de Lamarck descrisse, in una pubblicazione, una seconda varietà di canapa, che chiamò “Cannabis indica Lam.” in quanto gli esemplari analizzati erano stati raccolti in India. Lamarck evidenziò come le fibre ottenute da questa varietà avessero una qualità inferiore rispetto a quelle ricavate dalla sativa ma, di contro, rivelò maggiori proprietà inebrianti.
Le definizioni di ‘indica’ e ‘sativa’ si sono consolidate nel corso degli anni, tant’è che ancora oggi vengono utilizzate comunemente per indicare quelle che sono considerate le due principali varietà di canapa. Al contempo, nel corso del Novecento, diversi studiosi hanno proposto denominazioni alternative o aggiuntive. Tra queste, una delle più autorevoli è risultata la ‘ruderalis’; proposta nel 1924 dal russo Janichevsky, secondo il quale la varietà che proliferava nelle regioni della Russia centrale costituiva una variante specifica della Cannabis sativa.
Tra le più recenti classificazioni tassonomiche, vi è quella proposta negli anni Settanta da Arthur Cronquist ed Ernest Small; per i due studiosi, le due principali varietà di canapa esistenti sono sativa e indica che includono, rispettivamente, una sottospecie ‘spontanea’ e una ‘kafristanica’. Successivamente, è stata universalmente accettata la ripartizione tra indica, sativa e ruderalis, sulla base delle differenze fisiologiche che contraddistinguono le tre varietà.
Differenze tra indica, sativa e ruderalis
La classificazione della canapa in tre varietà si basa, come detto, su specifiche prerogative botaniche.
La cannabis indica – originaria del subcontinente indiano – ha uno sviluppo cespuglioso; si contraddistingue per una chioma folta composta da ampie foglie prendisole a cinque punte, un ciclo di fioritura molto rapido (circa due mesi) e infiorescenze compatte, ricche di foglioline resinose. Le piante di indica, invece, raggiungono un’altezza maggiore ma hanno una chioma più ariosa e affusolata, formata da foglie prendisole a sette punte; in aggiunta, il ciclo di fioritura può raggiungere i tre mesi mentre le infiorescenze si presentano slanciate e affusolate. Infine, la cannabis ruderalis non ha lo sviluppo arbustivo delle altre due specie; può avere carattere infestante e predilige regioni dal clima freddo.
Per quanto riguarda gli effetti di alcuni derivati della cannabis, è opinione comune che vi sia una specifica differenza tra indica e sativa. In realtà, per via dei diffusi processi di ibridazione tra varietà, le prerogative di entrambe si combinano e si manifestano in base alla predisposizione e alla tolleranza personali. Inoltre, tramite sofisticati processi botanici, è oggi possibile ottenere derivati della cannabis a bassissimo contenuto di THC (la molecola responsabile degli effetti psicoattivi). Ne è un esempio la Lemon Haze; una storica genetica ibrida disponibile anche in versione ‘light’ tramite e-commerce specializzati come prodotti-cannabis.it; oppure in negozi fisici autorizzati alla vendita al dettaglio.