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Le valanghe di neve? La fisica potrebbe essere simile a quella dei terremoti

Secondo un nuovo studio, le classiche valanghe di neve e i grandi terremoti hanno più cose in comune di quanto si pensi. Pare infatti che la fisica alla base dei due eventi sia molto simile, e il risultato della ricerca permetterebbe una migliore valutazione dei rischi connessi a questi eventi castrofici, che ogni anno causano più incidenti e vittime rispetto a tutte le altre tipologie di valanghe.

Un nuovo modello per le valanghe di neve

La ricerca è nata dalla collaborazione fra il Politecnico di Losanna (EPFL) e l’Istituto svizzero WSL per lo studio della neve e delle valanghe (Slf). I due enti hanno approfondito le modalità di formazione delle valanghe a lastroni di neve, aprendo la strada a misure di valutazione del rischio più efficaci per questi eventi catastrofici.

La scoperta, infatti, rappresenterebbe un cambio di paradigma, che potrebbe influenzare in modo significativo questa nicchia di ricerca. Espandendo la scala per le simulazioni di valanghe a lastroni di neve da un metro a cento metri, hanno ottenuto una migliore comprensione dei meccanismi alla base di questi eventi. La loro scoperta illustra anche i vantaggi che i progressi nella potenza di elaborazione dei computer possono apportare ai metodi utilizzati per osservare complessi fenomeni fisici. I risultati del team appaiono in Nature Physics, sotto il titolo di “Transition from sub-Rayleigh anticrack to supershear crack propagation in snow avalanches”.

Il loro lavoro trova le sue fondamenta su uno studio del 2018 del professore dell’EPFL Johan Gaume e degli scienziati dell’Università della California a Los Angeles. Lo studio iniziale, pubblicato su Nature Communications, descrive un metodo di simulazione 3D che i ricercatori hanno sviluppato per modellare le valanghe a lastroni di neve con una precisione senza rivali. Oggi Gaume è a capo del Laboratorio di simulazione neve e valanghe (SLAB) dell’EPFL, all’interno della Scuola di architettura, ingegneria civile e ambientale (ENAC) dell’EPFL, ed è affiliato all’Istituto SLF; lui e il suo studente Bertil Trottet, un dottorando di ricerca, ha approfondito lo studio, applicandolo su una più ampia scala e facendo una scoperta sorprendente. Hanno scoperto, infatti, che il modo in cui le lastre si propagano cambia durante il processo di distacco della valanga a lastroni. Ad esempio, hanno osservato velocità di propagazione delle crepe superiori a 100 metri al secondo, che è ben oltre le velocità di circa 30 metri al secondo tipicamente misurate negli esperimenti. Proprio per questo, almeno inizialmente, i due scienziati pensavano di aver commesso un errore.

neve

Riuscendo quindi a modellare lastre di circa 100 metri, gli scienziati dell’EPFL e dell’SLF hanno scoperto che una volta che la propagazione della lastra si estende oltre i tre-cinque metri, la tensione della lastra diventa l’unico motore del processo di distacco, causando il cedimento dello strato debole. Questo fenomeno è simile al cosiddetto meccanismo di rottura “supershear” osservato nei rari terremoti di magnitudo elevata che sono stati segnalati finora. “Sentivamo di essere su qualcosa di importante, ma avevamo bisogno di dati sperimentali per confermarlo”, afferma Gaume.

“La valanga si è verificata sul Col du Cou, nelle Alpi svizzere”, afferma Gaume. “Avevamo dati sulla neve sull’evento e il video di Schaer era di ottima qualità perché stava girando un film di snowboard. Analizzando il video ed esaminando i vari parametri, siamo stati in grado di confermare per la prima volta i risultati del nostro modello.”

Gli autori dello studio si sono quindi avvalorati di quatro casi di valanghe di neve avvenute nel mondo reale per poter confermare i risultati ottenuti, che hanno mostrato come il meccanismo di propagazione della frattura si trasforma man mano che aumentano le sue dimensioni. La ricerca aiuterà anche a semplificare i modelli computerizzati di valanghe, riducendo notevolmente i tempi di calcolo da diversi giorni a pochi minuti.