I sistemi biologici sono tra i più complessi presenti in natura. Si pensi alle migliaia di specie, individui e interazioni presenti in un ecosistema complesso come una foresta pluviale o un fiume. Oppure alle migliaia di variabili ipotizzabili per descrivere un sistema microscopico come la colonia di batteri presenti nell’intestino di un mammifero. In tutti questi casi è molto complicato creare un modello che descriva il sistema in tutta la sua complessità e che permetta di prevederne l’evoluzione in determinate condizioni. Da oggi però, lo studio di questi biosistemi complessi può contare su un nuovo strumento preso in prestito dalla fisica, il quale si basa sui principi che regolano le transizioni di fase.
I ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT), guidati dal fisico Jeff Gore, si sono posti il problema di come studiare un sistema biologico molto complesso con migliaia di interazioni interne e migliaia di specie viventi. In particolare, si sono concentrati sul biosistema rappresentato da numerose specie di batteri che interagiscono tra loro. Un obiettivo importante di questi studi sarebbe capire come variano le popolazioni di esseri viventi, in termini di numero di individui, e le relazioni tra le varie specie al variare delle condizioni ambientali. Inoltre, sarebbe importante stabilire le condizioni per cui un biosistema si trova in uno stato di equilibrio o meno.
Come è facile intuire, effettuare esperimenti a riguardo è quasi impossibile in natura, in quanto non si può manipolare a piacimento il numero di individui di una specie o le condizioni ambientali per osservare come varia l’equilibrio del sistema. Come ha dichiarato Seppe Kuehn, uno studioso di ecosistemi dell’università di Chicago:
You don’t have a knob you can turn that causes lions to eat zebras better (Non esiste una manopola che si può girare per far sì che i leoni mangino più zebre),
Dr. Seppe Kuehn
Condurre esperimenti in laboratorio è complicato, perché non è facile riprodurre in un ambiente controllato tutte le variabili di un ecosistema reale. In questo contesto però è arrivato un aiuto importante dalle leggi della fisica che regolano le transizioni di fase. In fisica, una transizione di fase viene definita come il cambiamento di stato da una fase ad un’altra. In generale una transizione di fase si caratterizza per un cambiamento evidente delle proprietà fisiche di un sistema in seguito alla variazione anche infinitesimale delle condizioni ambientali.
Un esempio classico in tal senso è la transizione dell’acqua dallo stato solido allo stato liquido. L’acqua cambia completamente le sue proprietà fisiche in seguito ad una variazione di temperatura anche solo di 1 grado, come avviene quando si passa da 0° C a 1°C ed il ghiaccio si scioglie. Ma le leggi sulla transizione di fase dicono di più.
Le interazioni molecolari che definiscono lo stato dell’acqua sono numerose e complesse, come quelle dei singoli individui di un ecosistema, e sarebbe molto complicato creare un modello che le descriva tutte. Tuttavia, come dimostra l’evidenza scientifica, la transizione di fase di un sistema dipende spesso da poche condizioni ambientali. Tornando all’esempio dell’acqua, si può prevedere con certezza il suo stato conoscendo soltanto temperatura e pressione dell’ambiente. Quindi l’equilibrio di un sistema con milioni di interazioni interne può essere descritto conoscendo soltanto un paio di condizioni ambientali.
Già negli anni ’70 alcuni microbiologi avevano già preso spunto dalle leggi della fisica, teorizzando che sarebbe stato possibile prevedere lo stato di equilibrio di un ecosistema con migliaia di specie e milioni di individui, conoscendo soltanto due condizioni ambientali: il numero totale di specie ed il grado di interazione tra loro.
Adesso, i microbiologi del MIT hanno tradotto questa teoria in un esperimento scientifico. I ricercatori hanno pensato di poter applicare questo principio ai biosistemi complessi composti da batteri, in modo da creare esperimenti facilmente riproducibili in laboratorio. È stato creato un biosistema formato da 24 specie di batteri prelevati dal suolo di una riserva di Boston, a cui sono state mischiate altre 24 specie di batteri prelevate dall’intestino di Nematodi.
Dopo essersi sviluppate in vitro, le varie specie sono state confinate in un unico ambiente di cui gli studiosi controllavano soltanto la concentrazione di nutrienti presente, in modo da far variare il grado di interazione tra le specie. Minore la contrazione di nutrienti, maggiore la competizione tra le specie.
Inizialmente l’ecosistema microbiologico risultava stabile. In seguito, superato un certo numero di specie ed una certa competizione tra loro per la scarsità di nutrienti, alcune specie iniziavano a morire. Infine, aumentando il numero di specie ed il livello di nutrienti si aveva un’ulteriore transizione di fase, dove le specie avevano una popolazione fluttuante in numero. Il sistema non era più stabile.
L’esperimento ha dimostrato che due sole variabili, cioè il numero di specie ed il grado di interazione tra di esse, permettono di prevedere se un ecosistema complesso sia stabile o meno; esattamente come spesso avviene nei sistemi complessi studiati dalla fisica. L’articolo che descrive lo studio è stato pubblicato su Science.
Questo però è soltanto il primo passo di una lunga strada. Il fisico della Stanford University Daniel Fisher ha dichiarato che questo studio dà la speranza di osservare comportamenti simili in natura, ma che ad oggi l’esperimento non si avvicina affatto alla complessità del mondo reale.
La biochimica Ophelia Venturelli dell’università del Wisconsin lo ha invece definito “un passo molto importane”, che potrebbe avere molte applicazioni pratiche, come lo sviluppo di colonie di batteri intestinali più resistenti alle malattie. Venturelli ha anche auspicato che in futuro degli studi simili siano condotti in ambienti più vicini alle condizioni reali, come l’intestino di piccoli animali da laboratorio quali i topi.