I cunicoli spazio-temporali, o wormhole in inglese, sono stati costantemente sfruttati nei racconti di fantascienza come mero espediente narrativo. Uno studio pubblicato da alcuni ricercatori dell’Università di Sofia in Bulgaria mette in luce una metodologia che, se confermata, sarebbe in grado di fornirci gli strumenti per rivelare la presenza di queste singolarità gravitazionali oltre che spazio-temporali.
Il wormhole, o Ponte di Einstein-Rosen, fin da quando è stato ipotizzato è entrato nell’immaginario fantascientifico come un mezzo per far viaggiare istantaneamente i personaggi di una storia attraverso lembi remoti dell’universo. Una vera e propria scorciatoia narrativa.
L’equazione di campo di Einstein, equazione fondamentale della teoria della relatività generale, vede come soluzioni i cunicoli spazio-temporali lorentziani noti come “cunicoli spazio-temporali di Schwarzschild”. Questi connetterebbero un buco nero e un buco bianco. Come sappiamo i buchi neri sono stati osservati, inoltre la loro origine ha una spiegazione, ovvero è dovuta al collasso gravitazionale di masse sufficientemente elevate. I buchi bianchi invece rimangono tutt’ora regioni ipotetiche dello spazio-tempo. Questo è uno dei motivi principali che rende ancora teorici i cunicoli spazio-temporali.
Pochi giorni fa un team di fisici dell’Università di Sofia in Bulgaria ha pubblicato un articolo nel quale viene descritto un modello di wormhole. Il paper mostrerebbe che alcune caratteristiche di luminosità riscontrate in passato riguardo i buchi neri siano in realtà condivise con i wormhole, di fatto mettendo in campo la possibilità di averli già osservati senza rendercene conto.
Nell’articolo pubblicato su Physical Review D, il team bulgaro ha studiato la polarizzazione lineare prodotta dai dischi di accrescimento, formazioni rotanti di materia presenti intorno a buchi neri e non solo, composti di gas, plasma o polvere stellare. Il punto di partenza consisteva nello sviluppare un modello semplificato della “gola” di un wormhole. Il team dell’Università di Sofia lo ha rappresentato come un anello di fluido magnetizzato. Il passo seguente riguardava la formulazione di ipotesi su come la materia si sarebbe disposta intorno a esso prima di essere inghiottita.
Durante questo vorticare di particelle ci si aspettava la nascita di campi magnetici il cui comportamento avrebbe seguito schemi prevedibili. Il risultato è stato il verificarsi della polarizzazione della luce emessa dal materiale riscaldato. Analizzando queste emissioni polarizzate si è riscontrata la somiglianza con i risultati già rilevati negli ultimi anni che anno portato alle prime immagini del buco nero M87 catturate nel 2019. Rilevamenti simili ci hanno permesso anche di ottenere le immagini di Sagittarius A* all’inizio del 2022.
Cosa si può dedurre da questa somiglianza? La somiglianza tra gli schemi delle luci polarizzate ottenute dal modello rappresentante il wormhole e quelli dei buchi neri finora osservati, ci porta a dedurre che in alcuni casi i buchi neri potrebbero essere veri e propri wormhole. In pratica li abbiamo avuti davanti agli occhi senza rendercene conto.
La forte somiglianza tra emissioni di luce emesse da un buco nero e da un wormhole non ci consentirebbero di distinguerli. Gli autori tuttavia affermano che “si osservano distinzioni più significative per quelle immagini fortemente distorte per via dell’effetto lente gravitazionale, in cui l’intensità della polarizzazione nello spaziotempo del wormhole può crescere fino a un ordine di grandezza rispetto al buco nero di Schwarzschild”.
In questo caso l’effetto lente non è causato da un oggetto posto tra noi e il buco ma è dovuto al percorso compiuto dai fotoni distorti dal campo gravitazionale del buco nero stesso che completerebbero un giro intorno al buco prima di raggiungerci. In sostanza osservandole dall’angolazione opportuna, le differenze significative tra i due fenomeni cosmici risulterebbero ampliate consentendoci di capire quali buchi neri siano in realtà wormholes.
Forse siamo vicini ad accettare come reale un altro concetto ritenuto meramente fantascientifico. Alcune delle storie spaziali più sbalorditive che abbiamo letto o visto al cinema godrebbero di un elemento di plausibilità aggiuntivo permettendoci di sognare con un pizzico di realismo avventure tra infiniti mondi nell’universo. Rimane ancora però da chiedersi se sia possibile viaggiarvi attraverso uscendone intatti dall’altro lato!
Di colpo si ritrovarono in una galleria dal colore rosa vivo e viola le cui pareti sembravano molli, dando la sensazione che potessero chiudersi e attorcigliarsi su loro stesse da un momento all’altro. Quel lungo tubo molle suscitava l’impressione di trovarsi in un intestino, cosa in un certo senso vera, perché l’equipaggio, ora, si trovava nelle viscere dell’universo.
Tratto da “Anche gli dèi sono persone” – Francesco Di Giuseppe
A cura di Francesco Di Giuseppe.