Scienza

PFAS: cosa sono, a cosa servono e perché sono pericolosi?

I PFAS (sostanze perfluoroalchiliche) sono una grande famiglia di sostanze chimiche. Il gruppo comprende migliaia di sostanze che hanno molteplici utilizzi in campo industriale ma non solo. Sono sostanze anche conosciute come acidi perfluoroalchilici e possono avere effetti nocivi per la salute e per l’ambiente. Proprio a causa della massiccia produzione industriale e quindi della contaminazione degli scarichi e dei rifiuti, si può registrare una forte contaminazione dell’ambiente. Livelli elevati di PFAS nell’atmosfera, nel suolo e nell’acqua possono avere effetti nocivi. L’argomento negli ultimi anni è molto dibattuto, a causa della diffusione di queste sostanze e dei loro effetti dannosi per la salute.

PFAS: cosa sono?

Le sostanze perfluoroalchiliche, conosciute come PFAS, sono acidi organici con almeno un legame carbonio-fluoro, tra i legami più forti nella chimica organica. Ciò permette a queste sostanze di resistere alla degradazione quando vengono utilizzate. Dal punto di vista chimico, sono catene alchiliche idrofobiche fluorurate, e sono acidi forti utilizzati in forma liquida. La struttura chimica e la natura dei legami permette una forte stabilità sia alle alte temperature che ai processi di degradazione. La famiglia delle PFAS comprende diverse classi di composti. Le più famose sono il PFOA (acidoperfluoroottanoico) e il PFOS (perfluorottanosulfonato), utilizzato ad esempio nelle schiume antincendio. Si utilizzano in campo industriale per rendere i prodotti resistenti all’acqua o ai grassi. Trovano impiego in tessuti, carta, tappeti o rivestimenti per contenitori.

Dove si trovano i PFAS?

Questa famiglia di acidi è di origine artificiale, e sono nati per creare materiali impermeabili, sia all’acqua che ai grassi. Fin dagli anni ’50 i PFAS sono utilizzati in diverse applicazioni industriali, ad esempio per le schiume antincendio o prodotti per la cura del corpo. A causa della loro stabilità e resistenza, si utilizzano ampiamente per impermeabilizzare le superfici. Trovano applicazione quindi in contenitori per alimenti, scatole di plastica, padelle antiaderenti, rivestimenti di tappeti o divani, e in alcuni capi di abbigliamento, come nelle pelli artificiali. Si possono trovare in molti oggetti di uso comune, come detersivi e vernici. È stata la loro straordinaria capacità di respingere l’acqua a incoraggiare la diffusione di questi composti per molte applicazioni. Il loro utilizzo avviene per impermeabilizzare la carta, proteggere le fibre dei tessuti, realizzare schiume negli estintori, realizzare indumenti sportivi o da lavoro o rivestire le padelle o i contenitori alimentari.

Pericolosità dei PFAS per la salute

Nonostante il loro ampio utilizzo a partire dagli anni ’50, solo di recente si è scoperta la loro pericolosità per la salute. Gli effetti sull’uomo e sugli animali sono tuttora in fase di studio. Esiste sia la possibilità della contaminazione della catena alimentare che dell’ambiente. Quando rilasciati in aria, impiegano diversi giorni o anche settimane per ricadere sul suolo. Se smaltiti in modo illegale o scorretto, i PFAS rilasciati nell’ambiente sono in grado quindi di penetrare nelle falde acquifere. Possono contaminare l’acqua e di conseguenza i terreni agricoli, finendo nei prodotti che mangiamo. In questo modo diventano tossici per tutti gli organismi viventi. Alcune sostanze come i PFOS e i PFOA hanno attirato l’attenzione per la loro ipotetica tossicità e diffusione nel sangue degli esseri umani e degli animali selvatici. I PFAS sono considerati inquinanti organici persistenti e dal 2009 diversi produttori ne hanno regolato o eliminato l’utilizzo.

Effetti dei PFAS sull’organismo

Se si accumulano nell’organismo, i PFAS possono risultare agenti cancerogeni, in particolare coinvolti nell’insorgenza di tumore ai reni, ai testicoli o alla mammella. Ovviamente, le dosi devono essere elevate per arrivare a questo effetto, quindi parliamo di concentrazioni elevate nell’ambiente che producono di conseguenza un accumulo nell’organismo. Queste sostanze si legano con le proteine plasmatiche e resistono alla filtrazione renale, che quindi le elimina molti difficilmente. In generale però i PFAS comprendono migliaia di composti diversi, quindi è difficile identificare quale sia l’effetto nel caso specifico. Alcuni studi sui PFOA, che sono tra quelli più diffusi, su campioni di popolazione esposti a concentrazioni elevate di queste sostanze, hanno rilevato delle alterazioni in alcuni parametri nelle analisi del sangue, soprattutto a livello di colesterolo ed estrogeni. Per avere questo tipo di effetto parliamo di esposizioni prolungate, come nel caso dei lavoratori negli stabilimenti industriali che utilizzano queste sostanze durante la produzione.

Quali sono i danni dei PFAS per la salute?

Alcuni studi parlano di un maggiore rischio di ipertensione e dell’aumento del colesterolo e dell’acido urico. Si tratta comunque di rischi piuttosto diffusi nella popolazione, anche a causa dello stile di vita, quindi non c’è nessuna certezza della correlazione con l’esposizione alle PFAS. Queste sostanze interferiscono con il metabolismo, favorendo l’obesità e l’assorbimento del colesterolo LDL, con effetti diretti anche a livello cardiaco. Altri danni, secondo alcuni studi, potrebbero riguardare il sistema endocrino, compromettendo la fertilità, la crescita, la funzionalità della tiroide o lo sviluppo dei caratteri e degli organi sessuali. Altre relazioni ipotizzate riguardano patologie fetali o ipertensione gravidica. Nei bambini potrebbero essere i responsabili della pubertà precoce e di una ridotta risposta alle vaccinazioni, perché renderebbero il sistema immunitario meno sensibile ai vaccini. Quest’ultimo effetto riguarda in generale tutta la popolazione, anche se recenti studi dimostrano un maggiore rischio per i bambini.

Come avviene la contaminazione da PFAS?

Se non smaltiti in modo corretto, i PFAS raggiungono le falde acquifere e quindi i prodotti agricoli e gli alimenti. Gli studi hanno dimostrato la presenza di queste sostanze in carne, pesce, uova, verdure a foglia verde, frutta e agrumi, tuberi e latte. La contaminazione può avvenire in due modi. Si parla di contaminazione diretta se i cibi sono conservati nei contenitori che contengono PFAS, che quindi possono passare direttamente nell’alimento. La contaminazione indiretta invece avviene attraverso gli scarichi industriali, tramite il flusso dell’acqua che raggiunge il terreno e contamina i prodotti coltivati. Esiste poi un altro tipo di contaminazione, che non è quella alimentare ma quella ambientale. È pericoloso trascorrere molto tempo negli stabilimenti industriali o in luoghi in cui è presente un elevato livello di inquinamento da PFAS.

Come possiamo difenderci dai PFAS?

Anche l’utilizzo di oggetti di uso comune contribuisce all’assorbimento di queste sostanze tossiche per l’uomo, così come l’esposizione da o da spazi verdi o urbani con un forte inquinamento da PFAS. Non esistono delle vere e proprie linee guida per la difesa dall’inquinamento o dall’esposizione alle PFAS. In generale, per ridurre l’esposizione diretta si consiglia di ridurre l’utilizzo di prodotti alimentare confezionati a diretto contatto con plastica o pellicole. È preferibile consumare frutta e verdura da agricoltura biologica sottoposta a controlli continui delle concentrazioni di inquinanti nel terreno. Per la scelta dei tessuti, è preferibile evitare tessuti sintetici scegliendo invece fibre naturali. È importante poi l’attenzione ai prodotti di igiene personale e ai cosmetici, perché soprattutto quelli “resistenti all’acqua” possono contenere elevate concentrazioni di PFAS.

Il caso del Veneto

In Veneto, la situazione è particolarmente critica a causa della presenza di alcune zone industriali in cui i PFAS sono utilizzati in grandi quantità. In particolare, la zona di Vicenza e la zona di Padova sono identificate come aree di particolare preoccupazione per la contaminazione da PFAS. La contaminazione da PFAS è stata riscontrata in diverse fonti di acqua potabile, tra cui fiumi, laghi e pozzi. Ciò ha portato alla chiusura di numerosi pozzi e all’avvio di programmi di monitoraggio per valutare l’entità della contaminazione. Le autorità locali hanno anche avviato programmi di bonifica per rimuovere i PFAS dall’ambiente e prevenire ulteriori danni alla salute pubblica.

La questione dei PFAS in Veneto è stata oggetto di dibattito e preoccupazione tra i residenti locali e le autorità pubbliche. Ci sono diverse proposte per gestire il problema. Tra le più importanti rientrano l’adozione di standard più rigorosi per la gestione dei rifiuti e la riduzione dell’uso di prodotti contenenti PFAS. Allo stesso tempo, sono in corso studi per valutare i potenziali effetti sulla salute dei residenti locali e per fornire informazioni sulla gestione della contaminazione da PFAS.

Le cause della contaminazione in Veneto

A partire dal 1966, l’azienda chimica RiMar (Ricerche Marzotto), fondata da Gianni Marzotto e successivamente sostituita da Miteni, ha iniziato a produrre composti perfluoroalchilici (PFAS). Nel comune di Trissino, in provincia di Vicenza, la popolazione locale e la stampa hanno lanciato numerosi allarmi e segnalazioni riguardanti la presenza di inquinamento della falda acquifera. Già nel settembre del 1977, la stampa locale ha diffuso la notizia della presenza di benzotrifluoruro nella falda acquifera. Si tratta di un composto chimico utilizzato per la produzione di coloranti e medicinali. Tale notizia è stata successivamente confermata dall’IRSEV (Istituto Regionale di Studi e Ricerche Economico-Sociali del Veneto) nel 1979. Lo studio ha rivelato che la contaminazione aveva già viaggiato attraverso la falda acquifera a partire da quel periodo. Dopo undici anni è stato confermato l’inquinamento e avviata la bonifica.

Lo studio del CNR sulla concentrazione di PFAS nelle acque

Il 29 maggio 2013, il Ministero dell’Ambiente ha commissionato uno studio al CNR-IRSA che ha rilevato una preoccupante concentrazione di PFAS nell’acqua. Fino a quel momento, quell’acqua era considerata potabile. Secondo i risultati ottenuti, la contaminazione era iniziata molti anni prima, durante gli anni del boom economico italiano. La scoperta dell’inquinamento da PFAS nel Vicentino è avvenuta quasi per caso. Infatti, tra il 2004 e il 2006, l’Università di Stoccolma aveva lanciato il progetto PERFORCE, finanziato dall’Unione Europea. Il progetto aveva lo scopo di esplorare le cause e la presenza nell’ambiente di vari composti chimici di origine industriale noti come PFAS.

Nel rapporto finale, pubblicato nel 2013, i ricercatori del CNR hanno descritto come la maggiore fonte di inquinamento da PFAS derivi dagli scarichi dell’azienda chimica Miteni. Infatti, nelle acque di scarico prelevate direttamente dalla fonte, i ricercatori hanno trovato una concentrazione di 7,132 nanogrammi di PFAS per litro.

Le misure contro l’inquinamento da PFAS

Il risultato dello studio CNR-IRSA portò la Regione Veneto a chiedere al Ministero della Salute di stabilire dei valori limite per la concentrazione di queste sostanze nelle acque destinate all’agricoltura e al consumo umano. Nel 2014, il Ministero comunicò i valori raccomandati dall’Istituto Superiore di Sanità, ma nel 2017 la Regione decise di aggiornarli in modo più restrittivo. La Regione decise di provvedere all’installazione di filtri ai carboni attivi per abbattere il contenuto di PFAS nell’acqua destinata al consumo umano. Venne anche messo in atto un piano di sorveglianza sanitaria per la popolazione esposta alle sostanze perfluoroalchiliche, che suddivise l’area inquinata in quattro zone di rischio crescente.

Una volta scoperta la presenza di PFAS nell’acqua e avviati i piani di monitoraggio sanitario e filtraggio, si decise di intervenire anche per messa in sicurezza dello stabilimento Miteni. Nel periodo tra il 2013 e il 2017, venne costruita una barriera di pozzi e pompe estrattrici, dotata di un sistema di monitoraggio costante dei valori di PFAS. Nel corso di quattro anni, la barriera ha impedito l’immissione in falda di circa 55 kg di PFAS. Durante la bonifica del sito, sono stati scoperti rifiuti interrati nell’argine del torrente Poscola per una lunghezza di 33 metri, che contribuivano all’inquinamento della falda. Tra questi rifiuti, erano presenti anche PFAS e terreni contaminati.

PFAS in Veneto: quali sono le aree interessate?

Un vasto territorio che si estende tra le province di Vicenza, Verona e Padova, per una popolazione stimata di 300 mila abitanti, è stato colpito dall’inquinamento da PFAS su un’area di circa 180 chilometri quadrati. Questo ha portato trenta comuni a dover far fronte all’inquinamento dell’acqua potabile, poiché la loro fonte di approvvigionamento è fortemente contaminata dai PFAS. Al fine di rispettare i limiti imposti dalla Regione Veneto sull’acqua potabile, questi comuni hanno dovuto dotarsi di costosi sistemi di filtraggio a carboni attivi. 

Molti abitanti del territorio non sono serviti dall’acquedotto e utilizzano invece pozzi privati per l’acqua potabile e per irrigare i campi, che risultano estremamente inquinati. Per questa ragione, la Regione Veneto ha emesso un’ordinanza che impone il rispetto degli stessi limiti per l’acqua dei pozzi privati come per l’acqua d’acquedotto, causando il divieto di utilizzo di molti pozzi privati. Nel solo comune di Sarego, in provincia di Vicenza, il 73% dei pozzi analizzati è risultato oltre i limiti stabiliti, rendendoli inutilizzabili. La stessa situazione si verifica in molti altri comuni limitrofi.

Le conseguenze dell’inquinamento in Veneto

Durante la sorveglianza sanitaria nell’area rossa, si è registrato un aumento significativo della mortalità. I casi di morte per cardiopatie ischemiche sono aumentate del 20% negli uomini e del 14% nelle donne. Le morti per le malattie cerebrovascolari sono aumentate del 21% negli uomini, mentre quelle per il diabete mellito del 21% nelle donne. Inoltre, sono aumentati i decessi per Alzheimer/demenza del 15% nelle donne. Secondo i dati raccolti, si è verificato un aumento del 22% dell’ipertensione sia negli uomini che nelle donne. Il Registro Nascita-Coordinamento Malattie rare Regione Veneto ha segnalato un aumento del rischio di pre-eclampsia, di diabete gestazionale e di nascite sottodimensionate rispetto all’età gestazionale. Tutti i dati sono stati raccolti nel periodo 2002-2015.

La situazione nel resto d’Italia

L’inquinamento da PFAS in Italia è un problema ambientale e sanitario di grande rilevanza. Queste sostanze sono utilizzate in numerosi prodotti industriali e di consumo come i tessuti impermeabili, i prodotti antischiuma, gli impianti antincendio, i rivestimenti per teglie e padelle. In Italia, l’inquinamento da PFAS è stato rilevato in molte aree, e non solo in Veneto. Sono aree interessate dall’inquinamento da PFAS anche altre regioni, come Lombardia e Friuli-Venezia Giulia. Le fonti di inquinamento sono principalmente riconducibili a insediamenti industriali dove sono stati utilizzati prodotti contenenti PFAS.

La presenza di queste sostanze nell’acqua potabile e nei terreni agricoli è un problema serio per la salute pubblica. Gli effetti riguardano l’aumento delle malattie cardiovascolari, epatiche, renali, immunitarie e riproduttive. Il governo italiano e le autorità locali stanno cercando di affrontare il problema dell’inquinamento da PFAS attraverso la bonifica dei siti contaminati. Altre misure riguradano la messa in sicurezza delle fonti di approvvigionamento idrico e l’adozione di misure preventive per ridurre l’uso di queste sostanze. Tuttavia, l’alto costo delle misure di bonifica e la complessità del problema rendono la situazione ancora difficile da gestire.

Il caso della Lombardia

Le analisi condotte da Greenpeace Italia tra ottobre 2022 e gennaio 2023 hanno rivelato la presenza di PFAS nelle acque potabili di numerose città della Lombardia. Questa scoperta è emersa grazie alle analisi condotte dai gestori e dalle autorità sanitarie lombarde su un vasto numero di campioni d’acqua. I risultati dell’indagine hanno sollevato gravi preoccupazioni per la salute pubblica. Secondo il report di Greenpeace Italia, i PFAS sono stati rilevati nel 19% dei campioni analizzati, mettendo in evidenza la diffusione di queste pericolose sostanze chimiche nel sistema idrico regionale.

Analizzando la contaminazione per province, la provincia di Lodi si posiziona al primo posto con l’84,8% dei campioni positivi ai PFAS, seguita dalle province di Bergamo e Como, con rispettivamente il 60,6% e il 41,2% dei campioni contaminati. L’area milanese si colloca a metà classifica, con un quinto delle analisi che ha mostrato la presenza di PFAS. Tuttavia, in termini di numero di campioni positivi ai PFAS, la provincia di Milano, dove sono stati effettuati più campionamenti, registra il triste primato con 201 campioni contaminati, seguita dalle province di Brescia (149) e Bergamo (129).

Cause e conseguenze della contaminazione

In Lombardia la scoperta della contaminazione da PFAS ha scatenato un vero e proprio allarme ambientale e sanitario. Le autorità sono a conoscenza di questa situazione da diversi anni, anche dal 2018 in alcuni casi, tuttavia non è stata avviata alcuna campagna di informazione. Ciò ha mantenuto i cittadini lombardi all’oscuro dell’entità del problema. L’esposizione a queste sostanze è legata alla possibile insorgenza di tumori e ad altri problemi di salute, come disfunzioni tiroidee, epatiche e immunitarie. L’organizzazione ambientalista, nel report pubblicato, ha definito i risultati “sconcertanti”, affermando che migliaia di cittadini lombardi hanno inconsapevolmente consumato acqua contenente PFAS dal 2018. Ignari della contaminazione, hanno utilizzato acqua anche per cucinare o irrigare campi e giardini. Inoltre, non è possibile escludere che queste contaminazioni siano ancora in corso.

Il caso PFAS in Lombardia: l’appello di Greenpeace

In seguito all’indagine effettuata, Greenpeace ha lanciato un appello alla Regione Lombardia per identificare tutte le fonti di inquinamento. È importante fermare la contaminazione alla sua origine e convertire le produzioni industriali che ancora utilizzano tali sostanze. È fondamentale inoltre implementare un piano di monitoraggio regionale per la presenza di PFAS nelle acque potabili. Inoltre, secondo l’associazione, i risultati delle analisi devono essere disponibili alla comunità, garantendo il diritto dei cittadini ad avere acqua pulita.

PFAS in Italia: cosa possiamo fare?

Sebbene preoccupanti, le contaminazioni riscontrate in Lombardia sono generalmente inferiori a quelle registrate in Veneto nel 2013. Ma l’emergenza PFAS richiede una risposta a livello nazionale. Il Governo deve assurmersi le proprie responsabilità e proporre una legge che vieti l’uso e la produzione dei PFAS in tutto il territorio italiano. Al tempo stesso, è fondamentale adottare misure adeguate per la bonifica e l’individuazione dei responsabili di un inquinamento così rischioso per la salute dei cittadini.

Published by
Maria Chiara Cavuoto