Cos’hanno in comune Kim Kardashian e i delfini? Lo stesso registro vocale
I delfini e le orche usano un particolare registro vocale per cacciare e sottomettere le loro prede. È il “clic di ecolocazione” ed è il loro suono più caratteristico, ma non l’unico; questi esemplari, infatti, emettono una vasta gamma di suoni per la comunicazione sociale, tra cui grugniti e fischi acuti. Gli odontoceti posseggono una particolare struttura nel naso, come la nostra laringe, grazie al quale possono generare diversi registri vocali. Ora alcuni ricercatori hanno scoperto come queste strutture, dotate di labbra foniche, gli consentono di produrre suoni diversi conservando l’aria anche nei fondali oceanici. Quindi cos’hanno in comune Kim Kardashian e i delfini?
Lo studio sui delfini e Kim Kardashian
Secondo un nuovo studio dei biologi danesi Coen Elemans (Università della Danimarca meridionale) e Peter Madsen (Aarhus University), i delfini hanno una vasta gamma di suoni nel proprio repertorio e ben tre registri vocali, uno dei quali simile a quello usato da Kim Kardashian e Katy Perry.
Studiando gli odontoceti i ricercatori hanno scoperto che sono dotati di almeno tre diversi registri vocali che utilizzano a seconda dei casi: quello ritmico (vocal fry), che produce toni più bassi; la “voce di petto”, che utilizza normalmente l’essere umano per parlare e il falsetto, che produce le frequenze più alte. Il primo di questi sarebbe quello utilizzato da Kim Kardashian e Katy Perry secondo quanto dichiarato dallo stesso Dottor Elemans.
Gli odontoceti però, a differenza delle due famose star, utilizzano questo tipo di registro per produrre i suoni utili a individuare le prede con l’ecolocazione. Ma, mentre prima si pensava provenissero dalla laringe come in tutti i mammiferi, ora abbiamo capito che sarebbe impossibile da utilizzare a elevate profondità. Perché? L’alta pressione dell’acqua impedirebbe di avere un adeguato volume respiratorio nei polmoni.
Da dove provengono i suoni dei delfini?
Tutto avviene grazie alla struttura del naso. I ricercatori dello studio sono i primi ad essere giunti ad una simile conclusione, evidenziando che durante l’ecolocazione, gli odontoceti pressurizzano l’aria presente nel naso facendola in seguito passare attraverso le labbra foniche, che vibrano come fanno le corde vocali negli esseri umani. Un sistema affascinante, perché l’accelerazione delle labbra produce delle onde sonore che attraversano tutto il cranio fino ad arrivare nella parte anteriore della testa.
Studiare le strutture dalle quali provengono i suoni di balene e delfini non è stato affatto semplice. Negli anni infatti, secondo quanto dichiarato da Elemans al NY Times, ci sono state molte prove circostanziali e persone che filmavano con raggi X o triangolavano il suono con diversi idrofoni. Il Dottor Elemans e i suoi colleghi, però, hanno deciso di adottare un metodo innovativo, inserendo endoscopi nelle cavità nasali di delfini addestrati e altri cetacei allo stato libero, ottenendo così filmati ad alta velocità durante la produzione dei suoni.
Così facendo, in effetti, si è capito che il suono proveniva effettivamente dall’interno del naso ma per confermare che le labbra foniche fossero coinvolte nel processo, e per capire se il suono venisse prodotto dai muscoli o dal flusso d’aria, hanno dovuto utilizzare delle focene decedute. In questo modo sono riusciti a filmare le labbra foniche mentre l’aria veniva spinta attraverso il naso e ad osservare come queste ultime si separassero per poi scontrarsi, provocando la vibrazione del tessuto che avrebbe prodotto il suono diramato poi nell’acqua.
Le conclusioni della ricerca sui delfini e Kim Kardashian
Usando, infine, una combinazione dei dati sonori di balene dentate che si tuffavano a oltre 3000 piedi di profondità con il video ad alta velocità prodotto in laboratorio, i ricercatori sono riusciti a rintracciare un lieve suono che segue il clic dell’ecolocazione. Questo deriva dall’apertura delle labbra foniche immediatamente prima della loro chiusura, evidenziando la parsimonia dei cetacei quando usano l’aria nei bassifondi dell’oceano.
Secondo il Dottor Madsen, coautore dello studio, infatti: “Sono solo circa 50 microlitri di aria utilizzati per generare il clic successivo”. Un meccanismo che ha apportato vantaggi soprattutto per la caccia perché i cetacei potevano spingersi sempre più in basso con il bisogno di meno aria. I capodogli, ad esempio, non avrebbero potuto procacciare prede come i calamari giganti senza una struttura del genere.
Alla fine dello studio quindi si è riusciti a risalire alla fonte del suono dei cetacei. I ricercatori hanno anche capito che queste sorprendenti creature possono utilizzare vari tipi di registri vocali per comunicare con i propri simili; ma non è tutto, perché questi esemplari così intelligenti, dopo aver appreso nuovi suoni, riescono anche a tramandarli ai posteri come facciamo noi esseri umani.