Il tempo è una grandezza fisica fondamentale, che misura oggettivamente le modalità di successione degli eventi. Lo scorrere del tempo però, nonostante possa scandirsi in modo oggettivo attraverso il passare dei secondi, è altresì un concetto estremamente soggettivo e può variare a seconda dei soggetti e delle circostanze. Insomma, la percezione del tempo non è statica.
Molte volte, ad esempio, questo sembra “allungarsi” o “accorciarsi” a seconda degli eventi o degli stati d’animo; quando siamo soli o proviamo paura, infatti, il tempo sembra non passare mai, mentre quando siamo contenti o in buona compagnia sembra volare.
L’intervallo di tempo percepito tra due eventi successivi viene definito durata percepita. Sebbene non sia possibile comprendere direttamente la percezione del tempo di un’altra persona, questa può essere studiata oggettivamente attraverso degli esperimenti scientifici, ed è proprio quello che hanno fatto i ricercatori di questo nuovo studio.
Uno nuovo studio, pubblicato sulla rivista Psychophysiology ed effettuato dagli psicologi della Cornell University, ha rilevato che alcune distorsioni della nostra percezione del tempo potrebbero essere influenzate dal battito cardiaco.
La nostra percezione del tempo, quindi, varia con il ritmo del cuore. Questo, probabilmente, perché così facendo il cervello riesce ad affrontare meglio le sfide in base alle diverse circostanze. Per giungere a questa conclusione, Adam K. Anderson e gli altri ricercatori hanno dotato alcuni studenti di elettrocardiogrammi per monitorare con precisione la loro attività cardiaca.
Gli psicologi hanno così scoperto che ad un intervallo di battiti cardiaci più lungo corrispondeva una percezione del tempo più lunga da parte degli studenti; viceversa, ad un intervallo più breve corrispondeva una percezione più breve. Una frequenza cardiaca più bassa, quindi, sembrava aiutare la propria percezione del tempo.
“Quando abbiamo bisogno di percepire le cose dal mondo esterno, i battiti del cuore sono rumore per la corteccia. Puoi assaggiare di più il mondo, e più facile inserire le cose, quando il cuore è silenzioso”.
Saeedeh Sadeghi, dottoranda presso la Cornell University e autrice principale dello studio.
Ma come si è svolto, nello specifico, questo studio? L’elettrocardiogramma è stato collegato ad un computer in modo che ogni battito cardiaco producesse un breve suono della durata di 80-180 millisecondi di cui i volontari dovevano valutare la durata.
Dalle loro risposte, gli psicologi hanno scoperto che i soggetti percepivano il suono come più duraturo dopo un intervallo di battiti cardiaci più lungo; al contrario, valutavano il suono come più breve se l’intervallo dei battiti cardiaci era più breve.
Il nostro cervello, quindi, usa il cuore come un cronometro e può condizionarne il ticchettio. Secondo i ricercatori, infatti, la connessione tra il battito cardiaco e la percezione del tempo lo aiuterebbe a gestire meglio gli sforzi e le risorse in base alle nostre condizioni fisiche e alle circostanze.
“Il tempo è una dimensione dell’universo e sta alla base della nostra esperienza del sé. La nostra ricerca dimostra che l’esperienza del tempo momento per momento è sincronizzata con la lunghezza del battito cardiaco e cambia con essa. Il battito cardiaco scandisce il ritmo che il nostro cervello usa per darci il senso del tempo che passa, e non è lineare: si contrae e si espande continuamente”.
Adam K. Anderson, professore di psicologia della Cornell University e co-autore dello studio.
L’interesse per la percezione del tempo è aumentato smisuratamente dopo la pandemia. Se prima eravamo abituati ad una vita frenetica, infatti, con l’arrivo del virus e dei frequenti lockdown siamo stati costretti a rallentare e a vedere, forse per la prima volta, il suo scorrere con occhi diversi.
Grazie ad uno studio sulla percezione del tempo effettuato durante il primo anno di lockdown in Gran Bretagna, si è potuto notare che l’80% dei partecipanti ha notato delle distorsioni. In particolare, le persone più anziane e socialmente isolate hanno riscontrato un suo rallentamento, mentre quelle più giovani e attive, al contrario, hanno riferito un’accelerazione.
“La nostra esperienza del tempo è influenzata in modi che rispecchiano, in generale, il nostro benessere. Le persone depresse sperimentano un rallentamento del tempo e quel rallentamento del tempo è vissuto come un fattore di peggioramento della depressione”.
Ruth S. Ogden, professoressa di psicologia della Liverpool John Moores University
Capendo meglio come l’organismo riesca ad influenzare la percezione del tempo, forse, riusciremo anche a capire come “farlo nostro” e non guardarlo sempre come un freddo dato oggettivo che scandisce le nostre giornate, migliorando la stessa qualità del tempo e quella della nostra vita, dei rapporti con gli altri e, soprattutto, l’interconnessione con la parte più profonda di noi stessi.