Nonostante si può dire che per quanto riguarda il Covid-19, grazie all’avvento dei vaccini, delle restrizioni e dell’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, si è passati da una fase pandemia ad una endemica, gli studi continuano e interessano per la maggior parte la sua diffusione. Sotto la lente di ingrandimento si cerca di comprendere come il virus si sia diffuso maggiormente in alcune zone e meno in altre e ciò ha posto l’attenzione sul clima e come il Covid in Lombardia si sia diffuso abbastanza velocemente nel 2020.
Già in passato la SIMA (Società Italiana di Medicina Ambientale) in un position paper in collaborazione con 12 ricercatori italiani, aveva dichiara come l’inquinamento aveva contribuito significativamente alla diffusione del Covid-19. Il risultato di questo studio ha evidenziato come vi è una stretta correlazione del superamento dei livelli di concentrazione di PM10 e PM2.5 e l’elevato numero di positivi al coronavirus. Questo fenomeno si è verificato a causa di un carrier cioè un vettore di trasporto il quale ha permesso al virus di attaccarsi alle particelle solido/liquide che possono rimanere nell’atmosfera per giorni.
Da evidenziare anche come gli ambienti maggiormente umidi possono aumentare il tasso di diffusione del virus, al contrario in presenza delle temperature elevate blocca l’avanzamento del Covid-19.
L’analisi sulla diffusione del Covid in Lombardia è stata pubblicata sulla rivista scientifica Heliyon condotta un gruppo di ricercatori dell’Università degli Studi di Milano e dell’università dell’Insubria, i quali hanno dichiarato come i livelli di biossido di azoto e le polveri più sottili (PM2.5) abbiano influenzato i contagi, come lo studio dichiara:
“I livelli di biossido di azoto hanno avuto una correlazione con l’andamento dei casi anche durante l’estate, a conferma dei ben conosciuti effetti deleteri sulla salute umana e sulla suscettibilità al Covid-19.Un peggioramento nella diffusione della malattia nel Nord Italia, suggerendo che l’inquinamento ambientale abbia avuto un ruolo non trascurabile nel promuovere il processo di infezione in tutta la valle del Po”.
Tale riconferma delle teorie già evidenziate in precedenza circa la mancanza di sole e l’inquinamento e il conseguente aumento di contagi da Covid-19, pone un’attenzione maggiore verso tutte quelle zone con un numero elevato di abitanti e con caratteristiche climatiche avverse.
Inoltre, lo studio ha evidenziato come soltanto la presenza del sole non gioca un ruolo decisivo circa il contenimento del contagio, infatti in alcune zone degli Stati Uniti, dove le temperature hanno superato i 40 gradi il numero di positivi al Covid-19 è aumentato notevolmente: perciò ciò evidenzia come il sole da solo non ha un ruolo decisivo circa il contenimento dei contagio se non sotto i venti gradi.
Anche con le temperature però più fredde, il sole ha giocato un aspetto essenziale nel contenimento del virus, infatti climi miti hanno impedito una maggiore diffusione nelle regioni del centro e del sud Italia durante la prima ondata Covid nel 2020. Questo perché i raggi solari innescano una reazione di trasformazione del biossido di azoto che è un gas altamente inquinante e nocivo per la salute. Inoltre, i raggi solari a contatto diretto con l’organismo attivano la produzione di vitamina D nello stesso, permettendo di avere una protezione maggiore ed il sistema immunitario attiva le difese contro virus e batteri.
La conoscenza di come il clima abbia influenzato l’avanzamento del Covid in Lombardia, permette di avere una ricostruzione sul contagio del virus durante la pandemia, concentrandosi maggiormente su tutti gli elementi coinvolti. Inoltre ciò pone l’attenzione sulle aree maggiormente abitate e soggette ad un inquinamento maggiore e con meno irraggiamento solare.