Quella volta in cui Boltzmann corresse un errore a Kirchhoff
Nell’estate del 1870, nel suo primo viaggio al di là dei confini del mondo accademico austriaco, Ludwig Boltzmann (1844-1906), si recò a Heidelberg presso la locale prestigiosa Università, la più antica della Germania. Qui, un giorno, ebbe modo di seguire un seminario condotto dal matematico Leo Koenigsberger. Quest’ultimo aveva posto ai suoi studenti un problema da affrontare e quando chiese loro se avessero qualche idea o strategia risolutiva, un uomo che non conosceva, “piuttosto snello e un po’ più anziano” degli altri (in effetti aveva 26 anni), prese a parlare dall’ultima fila.
Il nuovo venuto scese nella parte anteriore dell’aula ed espose, in modo chiaro e diretto, la soluzione del problema, con il suo ruvido accento austriaco che alle orecchie degli studenti tedeschi lì presenti doveva suonare tanto spassoso. Koenigsberger domandò allo straniero chi fosse. “Il dottor Boltzmann di Vienna”, rispose con voce ferma il fisico austriaco, come se questo fosse sufficiente. E in effetti lo fu, dato che Koenigsberger lo conosceva di nome ed era a conoscenza delle interessanti e assai promettenti ricerche che questo giovane aveva già presentato all’Accademia delle Scienze di Vienna.
Perché Ludwig Boltzmann volle incontrare Koenigsberger
Boltzmann, nel corso di una sua recente ricerca, si era impantanato in un problema matematico a proposito del quale desiderava un consiglio di Koenigsberger. Impressionato dal giovane, il matematico tedesco fu ben lieto di accontentarlo ma nel pomeriggio, durante una conversazione informale, gli chiese se fosse già andato a far visita a Gustav Kirchhoff, il più autorevole fisico dell’Università. Titubante, Boltzmann riconobbe di non averlo fatto, e dopo qualche insistenza Koenigsberger seppe il motivo: Boltzmann aveva scoperto un errore nel più recente lavoro di Kirchhoff, e per quanto ardesse dal desiderio di conoscerlo, non sapeva se fosse opportuno rivolgersi a lui e, in tal caso, come dovesse farlo.
Il curioso incontro tra Kirchhoff e Boltzmann
Era ormai a Heidelberg già da svariate settimane, ma la timidezza che lo contraddistingueva aveva preso il sopravvento, non consentendogli di rompere il ghiaccio. Koenigsberger lo incoraggiò a presentarsi a Kirchhoff e a trovare la maniera di sollevare la delicata questione. Rincuorato, Boltzmann se ne andò. Dopo qualche ora Kirchhoff si precipitò a casa di Koenigsberger per raccontare un fatto curioso che lo aveva messo un po’ in agitazione. Era seduto nel suo studio quando, senza essere annunciato, un visitatore era entrato all’improvviso e, dopo la più succinta delle presentazioni, era sbottato:
“Signor professore, lei ha fatto un errore!”. Spiazzato e abituato a maniere tedesche un po’ più misurate, Kirchhoff si domandò, per un attimo, se quel giovane irruente non fosse in qualche modo uno squilibrato. Ma Boltzmann, calmatosi, riuscì a spiegarsi e ad esplicitare il suo punto di vista. E alla fine, suo malgrado, Kirchhoff dovette riconoscere che quel giovane così impetuoso e goffo aveva ragione. C’era un errore.
Chi era Leo Koenigsberger?
Leo Koenigsberger (1837-1921) è un matematico tedesco che ha lavorato su funzioni ellittiche (uno dei miei argomenti preferiti) ed equazioni differenziali. Famose anche le sue biografie di Helmholtz e Jacobi. Nel descrivere il ventiseienne fisico che era inaspettatamente comparso nella sua aula, Koenigsberger utilizzò la parola tedesca “hager” che sta per “snello” o “magro”. Si trattò dell’unica volta in cui qualcuno usò un termine del genere per descrivere Boltzmann, che era un appassionato della tavola e che, già da giovane, divenne ben presto paffuto e poi decisamente grassoccio. Qualche anno più tardi, la moglie Henriette prese a chiamarlo “il mio dolce e grasso tesoro”.
P. S. Lungi dal volermi mettere sullo stesso piano del fisico austriaco, anch’io nel mio piccolo mi sono ritrovato in una situazione analoga. Durante il mio dottorato di ricerca in Matematica, ho scoperto un errore in una dimostrazione di un teorema di Geometria Algebrica, presente in un libro famoso di un matematico russo (una celebrità indiscussa e riconosciuta, S. A. Stepanov). Quando l’ho riferito a Gabor Korchmaros, il relatore della mia tesi di dottorato, lui in un primo momento non ci ha creduto. Ma successivamente, controllando ed esaminando con più attenzione i passaggi della dimostrazione, ha riconosciuto che c’era una piccola falla. Avevo ragione.