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Microchip nel Parmigiano Reggiano per limitare le imitazioni

Il Parmigiano Reggiano rappresenta uno dei formaggi più antichi e rinomati globalmente, noto per il suo gusto ricco e nutriente. Tuttavia, data la proliferazione di imitazioni, l’azienda ha optato per l’inclusione di un microchip nel Parmigiano Reggiano.

Il Parmigiano Reggiano

Il formaggio tanto amato in Italia e anche all’estero, prodotto nelle province di Parma, Reggio Emilia, Bologna e Mantova, ha origine dal latte crudo, proveniente da mucche alimentate con erba fresca e foraggio. La produzione avviene secondo i metodi originali, senza aggiunta di conservanti o additivi. Il sapore finale dipende dal processo di invecchiamento, i quali gradi sono:

  • Giovane da 12 fino a 18 mesi.
  • Vecchio da 24 a 36 mesi.
  • Stravecchio oltre i 36 mesi.

Più tempo il formaggio viene lasciato stagionare, più intenso e complesso sarà il suo sapore. Il Parmigiano Reggiano è un formaggio ricco di nutrienti per l’organismo come il calcio, le proteine e la vitamina A e B12. Inoltre, ha un basso contenuto di grassi, mantenendolo tra i formaggi più salutari. Il formaggio è spesso utilizzato in forma grattugiata e utilizzato quindi come condimento su piatti di pasta, zuppe, insalata e altri piatti. Può essere anche gustato da solo o accompagnato da frutta secca e miele.

Il microchip nel Parmigiano Reggiano

Ogni forma del Parmigiano Reggiano è segnata tramite un marchio inciso sulla crosta che ne attesta l’autenticità e l’origine, ciò contiene anche le informazioni sul caseificio e sul mese di produzione. Ma nonostante ciò, circa il 90% del Parmigiano Reggiano venduto negli Stati Uniti è in realtà un’imitazione prodotta nel Wisconsin o in California.

Il rapporto arriva direttamente dalla Coldiretti, che ha messo in allarme la produzione del formaggio e la sua autenticità. Per sopprimere l’agropirateria, che affligge i prodotti Made in Italy, si è deciso di adoperare un microchip nel Parmigiano Reggiano. Il dispositivo che si troverà nella crosta del formaggio servirà ai consumatori di verificare se la forma è un’imitazione oppure no.

Infatti, ogni forma di Parmigiano Reggiano, per essere autentica, dovrebbe pesare circa 40 chili ed essere stagionata per oltre un anno. I microchip nel Parmigiano Reggiano non sono dannosi, ed essendo inseriti nella parte esterna, non verranno ingeriti. Saranno attivi solo durante la scansione, permettendo di rilevare un numero di serie univoco che ne attesta l’autenticità. I microchip sono prodotti dall’azienda americana p-Chip e saranno utilizzati su oltre 100.000 forme. Joe Wagner, amministratore delegato di p-Chip Corporation dichiara ciò sul microchip:

Grazie al micro-transponder, il Consorzio può ora controllare meglio il proprio inventario, proteggere e differenziare i suoi prodotti da marchi simili e avere accesso a una tecnologia di tracciamento impareggiabile per proteggersi in caso di richiami o altri problemi.

Non solo il Parmigiano Reggiano viene imitato

Nella lista dei prodotti Made in Italy che sono soggetti a falsificazione, oltre il formaggio Parmigiano Reggiano, vi si aggiungono il prosciutto di Parma San Daniele, il Prosecco e differenti vini. La Coldiretti infatti afferma che:

A causa della continua ascesa dei marchi dal suono italiano, oltre i due terzi dei prodotti alimentari ‘italiani’ nel mondo sono ora falsi.

Al primo posto tra i prodotti maggiormente imitati vi è la mozzarella, in particolare negli Stati Uniti dove la sua imitazione è pari a venti volte il volume totale delle esportazioni di vera mozzarella italiana nel mondo. Il Parmigiano Reggiano occupa il secondo posto con il Grana Padano, con una serie di nomi “copia” ad esempio Parmesan, Parmesao e Reggianito. A seguire il Provolone e il pecorino Romano. Si aggiungono alla lista dei contraffatti Made in Italy i salumi come il salame e la mortadella. Si aggiungono all’elenco anche i sughi pronti e le passate.

Come risolvere il problema dell’imitazioni Made In Italy nel campo alimentare?

Una possibile soluzione, come evidenzia il presidente della Coldiretti Ettore Prandini, sarebbe:

Il contributo della produzione agroalimentare Made in Italy a denominazione di origine alle esportazioni e alla crescita del Paese potrebbe essere nettamente superiore se dagli accordi venisse un chiaro stop alla contraffazione alimentare internazionale che utilizza impropriamente parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che si richiamano all’Italia per alimenti taroccati che non hanno nulla a che fare con il sistema produttivo nazionale a far esplodere il falso è stata paradossalmente la “fame” di Italia all’estero con la proliferazione di imitazioni low cost.

Published by
Valentina Maria Barberio