Quando l’espulsione di un difensore diventa un vantaggio reale per la squadra?
Un difensore che commette deliberatamente un fallo sull’attaccante avversario lanciato a rete fuori dell’area di rigore, dà un contributo positivo e uno negativo alla sua squadra. Infatti, se da un lato impedisce agli avversari di segnare, dall’altro, facendosi espellere, lascia la propria squadra in inferiorità numerica per il resto della partita. Chiaramente il contributo positivo prevale su quello negativo se tale episodio si verifica all’ultimo minuto. Mentre, al contrario, prevale il contributo negativo se la scelta di abbattere l’avversario viene presa al primo minuto di gioco: la sua squadra sarà costretta a giocare in dieci per tutta la partita! Ma se l’episodio avviene nel bel mezzo della partita, come è possibile determinare il momento in cui una espulsione di un difensore diventa un vantaggio reale per la squadra?
Quando l’espulsione di un difensore diventa un vantaggio reale per la squadra? La risposta in uno studio del 1994
Una risposta a questo interrogativo l’ha fornita un saggio scientifico intitolato “Finire in dieci: stima degli effetti di un cartellino rosso nel gioco del calcio“, pubblicato nel 1994 sul “Journal of the American Statistical Association”, articolo in cui tre professori olandesi, G. Ridder, J.S. Cramer e P. Hopstaken, hanno proposto “un modello per valutare gli effetti del cartellino rosso che tiene conto delle differenze iniziali nella forza delle squadre e della variazione nell’intensità delle segnature durante la partita.
Più specificamente, proponiamo come modello un processo di Poisson non omogeneo rispetto al tempo con un effetto specifico sulla partita per le realizzazioni di entrambi i contendenti. Per valutare l’effetto differenziale del cartellino rosso, utilizziamo uno stimatore di probabilità massima condizionale che è indipendente dagli effetti specifici sulla partita“.
Quando l’espulsione di un difensore diventa un vantaggio reale per la squadra? Le conclusioni dello studio
Nell’ipotesi che le due squadre si equivalgano e che l’attaccante segni con quasi assoluta certezza, conviene commettere un fallo da espulsione in un qualunque momento compreso tra il 16-esimo e il 90-esimo minuto di gioco. Se la probabilità che l’avversario segni un goal è del 60%, allora occorrerà aspettare fino al 48-esimo minuto prima di sporcarsi di un brutto fallo.
Infine, se l’attaccante è un po’ scarso e la probabilità di un goal è ridotta al 30%, allora un difensore dovrebbe mantenersi tranquillo ed evitare rigorosamente un qualsiasi fallo pericoloso fino al 71-esimo minuto di gioco.
Il comportamento degli arbitri
Da una ricerca pubblicata sulla rivista “BMC Psychology”, che ha analizzato il comportamento di 61 arbitri di calcio di 4 diversi campionati professionistici inglesi, di età compresa tra i 26 e i 53 anni e con un’altezza media di 1,76 metri, è emerso che i direttori di gara più bassi sono più severi dei loro colleghi spilungoni nell’assegnazione di espulsioni, ammonizioni e penalità varie. Lo studio, inoltre, ha evidenziato che i più giovani fischiano falli con maggiore frequenza.
Secondo un altro studio effettuato da alcuni ricercatori dell’Erasmus University (Olanda), che hanno esaminato tutti i falli registrati in 7 stagioni di Champions League (32.142 falli), Bundesliga (85.262 falli) e 3 Coppe del Mondo fino al 2010 (6.440 falli), i calciatori più alti sarebbero più spesso ritenuti responsabili anche quando nessun fallo effettivo è stato commesso. La tendenza ad attribuire falli ai giocatori più imponenti potrebbe trovare una giustificazione nei pregiudizi che associano l’alta statura alla prevaricazione.