La zona di esclusione di Chernobyl (CEZ) e la Riserva Radioecologica Statale di Polesie in Bielorussia rappresentano oggi non solo un monumento vivente alle capacità di adattamento della natura, ma anche un laboratorio a cielo aperto per gli studiosi. Tra gli argomenti di maggiore interesse c’è la popolazione di lupi grigi di Chernobyl, che qui ha trovato un rifugio inatteso, prosperando in condizioni che molti avrebbero considerato avverse. Recentemente, il lavoro della biologa Cara N. Love, dottoranda presso il Dipartimento di Ecologia ed Evoluzione Biologica dell’Università di Princeton, ma non ancora pubblicato, ha gettato luce su un aspetto sorprendente di questa resilienza: la selezione naturale di geni resistenti al cancro.
La zona di esclusione di Chernobyl, istituita subito dopo l’esplosione del reattore nel 1986, ha visto l’evacuazione di oltre 200.000 persone, trasformandosi in un’area abbandonata dall’uomo, ma non dalla natura. Oggi, quest’area serve da santuario per la fauna selvatica, ospitando specie minacciate o in pericolo come il bisonte europeo e i cavalli di Przewalski, oltre a una popolazione di lupi grigi densa sette volte superiore rispetto ad altre riserve faunistiche vicine.
La ricerca condotta da Cara N. Love nella zona di esclusione di Chernobyl ha messo in luce la straordinaria capacità di adattamento dei lupi grigi a un ambiente segnato dalla contaminazione radioattiva. Questi animali non solo sopravvivono ma fioreggiano, grazie alla possibile selezione naturale di geni resistenti o resilienti al cancro.
Tale scoperta apre nuove prospettive di studio sull’evoluzione biologica in contesti ambientali estremi, offrendo al contempo spunti per la ricerca oncologica applicabile anche all’uomo, evidenziando come la natura possa insegnarci modi inaspettati per affrontare malattie complesse come il cancro.
Tuttavia è importante specificare che la ricerca effettuata dalla dottoressa non è stata ancora pubblicata su nessuna rivista scientifica per cui bisognerà aspettare futuri aggiornamenti che confermino la notizia.
Utilizzando collari GPS che registrano le posizioni geografiche degli animali e le loro esposizioni alle radiazioni in tempo reale, Love e il suo team esaminano aspetti genomici, fisiologici, immunologici e legati alle malattie dell’esposizione cronica alla radiazione sulla fauna selvatica. Questo approccio multidisciplinare permette di identificare firme di stress da radiazione nei lupi di Chernobyl, esplorando inoltre infezioni da parassiti e patogeni rispetto a popolazioni di riferimento.
Una parte significativa della ricerca si concentra sull’identificazione di regioni del genoma che evolvono più rapidamente nei lupi di Chernobyl rispetto ad altri luoghi, in particolare intorno ai geni coinvolti nella risposta immunitaria al cancro. Queste scoperte non solo offrono spunti sulle dinamiche evolutive in risposta alle radiazioni ma potrebbero anche avere implicazioni per la salute umana, come spiegato da Shane Campbell-Staton, biologo evoluzionista a Princeton. La collaborazione con biologi e aziende oncologiche potrebbe portare alla scoperta di nuovi bersagli terapeutici per il trattamento del cancro negli esseri umani.
Il successo di questi lupi nella zona di esclusione di Chernobyl sottolinea un paradosso: mentre la minaccia del cancro rimane, l’assenza di pressioni umane, come la caccia, offre a questi animali un vantaggio per la sopravvivenza. Questa ricerca non solo illumina le potenzialità di adattamento della vita selvatica in condizioni estreme ma apre anche una finestra su possibili percorsi di ricerca per combattere il cancro nell’uomo, dimostrando una volta di più come la natura possa offrire soluzioni inaspettate ai problemi più complessi.