I missionari cristiani del II secolo, che si diffondevano tra le tribù teutoniche a nord di Roma, incontrarono molte pratiche religiose pagane. Quando possibile, cercarono di non interferire con le usanze radicate, trasformandole, ingegnosamente, in cerimonie che si trovavano in armonia con la dottrina cristiana. Il motivo per agire in questo modo era decisamente pratico. Vediamo com’è nata la Pasqua.
I seguaci convertiti che prendevano pubblicamente parte ad una cerimonia cristiana, in un periodo in cui nessun altro festeggiava, erano un facile bersaglio per le persecuzioni. Se, invece, un rito cristiano aveva luogo nello stesso giorno in cui si svolgevano quelli pagani, osservati da tempo, e se, soprattutto, le due consuetudini di culto non differivano in modo troppo evidente, i nuovi seguaci potevano salvarsi la pelle e così convincere nuovi adepti. Proprio in questo modo nacque la festività della Pasqua.
I missionari cristiani osservarono astutamente che la festa sassone celebrata da centinaia d’anni e dedicata ad Eostre, dea pagana della primavera e della fertilità, coincideva con il periodo dell’anno in cui loro celebravano il miracolo della resurrezione di Cristo. Pertanto la Resurrezione venne camuffata sotto il nome protettivo di Eostre (che più tardi si trasformò in Easter, che significa “Pasqua” in inglese), stratagemma che evitò la morte di moltissimi cristiani.
Anche il fatto che un coniglio, o più precisamente una lepre, sia diventato uno dei simboli di tale festività, è riconducibile alla dea pagana. Secondo la leggenda, Eostre (o Ostara), un giorno di fine inverno, mentre camminava in un bosco, fra i cui alberi regnava ancora il gelo, notò un uccello che non riusciva a volare. Pensò allora di trasformarlo in un leprotto (a differenza dei piccoli di coniglio, quelli di lepre nascono già dotati di pelliccia), in modo che il piccolo avrebbe potuto passare indenne gli ultimi giorni di freddo che lo portavano alle giornate più miti della primavera.
Anche se trasformato, l’animale continuò a deporre uova che, da quel momento, si tinsero dei colori dell’arcobaleno, in onore e ringraziamento alla dea. Da qui, la lepre prima, il coniglietto poi e l’uovo, infine, sono diventati i simboli per antonomasia della primavera e della Pasqua.
P. S. Probabilmente vi state chiedendo cosa c’entri l’anatra in figura con la Pasqua. Tranquilli, c’entra. Ruotate l’immagine di 90 gradi in senso antiorario e otterrete un…coniglio.
Buona Pasqua!
Lo scambio di uova vere (simbolo di rinascita e rinnovamento) in primavera, bianche, colorate e ricoperte di carta dorata, è un’usanza antica. Gli Egizi seppellivano anche uova nelle proprie tombe. I romani coniarono un proverbio: “Omne vivum ex ovo”, “Tutte le cose viventi provengono da un uovo”. E pare che Simone il Cireneo, colui che aiutò Cristo a portare la croce sul Calvario, fosse un mercante d’uova. L’idea di ricoprire i gusci delle uova di gallina con della cioccolata balenò nel 1725 a Torino (patria della gianduia e di maestri cioccolatai) nella mente della bottegaia Benedetta Giambone.
Il primo uovo di cioccolato pasquale con una sorpresa all’interno (un ripieno alle mandorle dolci) fu commercializzato nel 1875 dalla celebre fabbrica Cadbury, vicino a Birmingham, nel Regno Unito. L’invenzione e la commercializzazione della colomba di Pasqua, così come la conosciamo (e mangiamo) oggi, avvenne intorno al 1930 a partire da un’idea del pubblicitario Dino Villani che lavorava per una nota azienda dolciaria milanese, la Motta.
Come allungare la stagione del panettone oltre Natale, evitando di tenere ferma la produzione e i costosissimi macchinari per buona parte dell’anno? Semplice, pensò Villani. “Riciclando” il medesimo impasto del panettone e i macchinari utilizzati per la produzione del dolce natalizio e apportando una innovazione del dolce nella forma (quella di colomba, da sempre simbolo pasquale) e nella superficie, rivestita con glassa all’amaretto e mandorle. Il successo fu immediato e il resto è storia.