La NASA ha scoperto gli alieni circa 60 anni fa’, ecco la rivelazione assurda: non ci sono prove perché li ha uccisi
La NASA avrebbe trovato gli alieni sessanta anni fa ma li avrebbe uccisi? Vediamo com’è andata.
L’esplorazione di Marte rappresenta uno dei capitoli più affascinanti e ambiziosi nella storia della scienza spaziale. Sin dagli albori dell’era spaziale, il Pianeta Rosso ha catturato l’immaginazione di scienziati, ingegneri e del pubblico in generale. Questo vicino planetario, con il suo aspetto arido e misterioso, ha stimolato una serie di missioni destinate a scoprire i suoi segreti più profondi. Tra le numerose domande che queste missioni si pongono, la possibilità di trovare forme di vita aliena è senza dubbio la più intrigante.
Il desiderio di esplorare Marte è nato non solo dalla sua vicinanza alla Terra, ma anche dalle sue caratteristiche superficiali che sembrano suggerire un passato geologicamente attivo e, forse, abitabile. Negli anni ’60 e ’70, la NASA ha lanciato una serie di sonde verso Marte per raccogliere dati preziosi. Tra queste missioni, spiccano i lander Viking, che rappresentano una pietra miliare nell’esplorazione marziana. Il loro compito principale era quello di cercare prove di vita su Marte, un obiettivo che ha spinto i limiti della tecnologia e della scienza dell’epoca.
I due lander Viking, Viking 1 e Viking 2, atterrarono su Marte nel 1976. Equipaggiati con una gamma di strumenti scientifici avanzati, questi veicoli erano progettati per analizzare il suolo marziano e cercare segni di attività biologica. Le loro fotocamere stereo a colori, i spettrometri e i gas cromatografi erano tra gli strumenti utilizzati per studiare l’atmosfera e la superficie del pianeta. Queste missioni erano tra le più ambiziose mai tentate fino a quel momento e i dati raccolti hanno fornito una comprensione senza precedenti del pianeta.
Nonostante gli enormi progressi tecnologici, le missioni Viking hanno sollevato più domande di quante ne abbiano risposte. I risultati delle loro indagini sono stati interpretati in molti modi diversi, alimentando dibattiti accesi nella comunità scientifica. Una delle scoperte più controverse riguarda l’esperimento chiamato “Labeled Release”, che ha restituito risultati positivi per la presenza di metabolismo, ma non è riuscito a trovare tracce definitive di materia organica. Questo ha portato a teorie contrastanti e a ulteriori indagini per cercare di comprendere meglio il significato di quei dati.
La scoperta di vita aliena su Marte: le rivelazioni di un ricercatore
Secondo il ricercatore Dirk Schulze-Makuch della Technical University Berlin, la NASA potrebbe aver scoperto forme di vita su Marte durante le missioni Viking degli anni ’70, ma potrebbe anche averle uccise accidentalmente. L’esperimento “Labeled Release” ha aggiunto acqua al suolo marziano, un passaggio che, secondo Schulze-Makuch, avrebbe potuto sopraffare eventuali microrganismi adattati alle condizioni estremamente aride del pianeta. Schulze-Makuch sostiene che l’acqua potrebbe aver causato la morte di qualsiasi forma di vita presente nel suolo marziano. Questo è un fenomeno osservato anche sulla Terra, in ambienti simili come il deserto di Atacama, dove i microrganismi vivono all’interno di rocce saline e non necessitano di acqua per sopravvivere. L’introduzione di un’eccessiva quantità di acqua potrebbe, infatti, risultare letale per tali organismi.
L’ipotesi di Schulze-Makuch non è la prima a suggerire che la vita su Marte potrebbe essere stata scoperta e poi distrutta accidentalmente. Studi precedenti, come quelli condotti dall’Arizona State University e dal National Institutes of Health, hanno suggerito che i dati raccolti dalle missioni Viking potrebbero essere coerenti con una spiegazione biologica. Questi studi hanno evidenziato somiglianze tra le risposte del suolo marziano e quelle di suoli terrestri contenenti microrganismi. Secondo Schulze-Makuch, i microrganismi marziani potrebbero aver adattato le loro cellule per contenere perossido di idrogeno, una sostanza che avrebbe offerto vantaggi specifici nell’ambiente marziano, come un basso punto di congelamento e la disponibilità di ossigeno. Tuttavia, l’introduzione di acqua durante gli esperimenti Viking potrebbe aver provocato una reazione chimica con il perossido di idrogeno, causando la morte degli organismi e la formazione di grandi quantità di anidride carbonica, come effettivamente rilevato dagli strumenti.
Esperimenti futuri e nuove prospettive
Le missioni successive a Viking hanno continuato a cercare segni di vita su Marte, con tecnologie sempre più avanzate e metodologie raffinate. La scoperta di composti organici clorurati e altre evidenze di potenziali adattamenti biologici suggerisce che Marte potrebbe aver ospitato forme di vita in passato e forse potrebbe ancora ospitarne alcune oggi. Le missioni future dovranno tenere conto delle lezioni apprese dagli esperimenti Viking, adottando approcci che minimizzino l’impatto ambientale sul fragile ecosistema marziano.
La possibilità che la vita su Marte sia stata scoperta e persa è un potente promemoria dell’importanza di progettare esperimenti spaziali con estrema cautela. La ricerca di vita su altri pianeti richiede non solo tecnologie avanzate ma anche una profonda comprensione delle condizioni ambientali extraterrestri e delle loro possibili interazioni con i protocolli sperimentali.