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Come il neurofeedback e le tecnologie di Brain-Computer Interface (BCI) possono migliorare il trattamento dei pazienti

Il neurofeedback e le BCI condividono un obiettivo comune: sfruttare la tecnologia per monitorare e influenzare l’attività cerebrale. Mentre il neurofeedback si concentra sull’autoregolazione dell’attività cerebrale attraverso feedback visivo o uditivo in tempo reale, le BCI permettono una comunicazione diretta tra il cervello e dispositivi esterni. Entrambi questi approcci utilizzano sensori per rilevare i segnali elettrici del cervello, ma differiscono per scopo e applicazione. Il neurofeedback è principalmente terapeutico e viene utilizzato per trattare disturbi mentali e migliorare il benessere emotivo, mentre le BCI hanno applicazioni più ampie, che includono la riabilitazione motoria, la comunicazione assistiva e persino il controllo di dispositivi elettronici tramite il pensiero. Queste due tecnologie, però, non potevano che incontrarsi in modo da offrire un trattamento più completo e innovativo a milioni di persone che ne hanno bisogno.

Storia e applicazioni cliniche del neurofeedback

Il neurofeedback ha radici che risalgono agli anni ’60, quando i primi ricercatori iniziarono a esplorare il biofeedback come metodo per aiutare le persone a controllare funzioni fisiologiche involontarie. Negli anni ’70, il dottor Barry Sterman condusse studi pionieristici che dimostrarono come il neurofeedback potesse ridurre la frequenza degli attacchi epilettici. Da allora, il neurofeedback si è evoluto e ha guadagnato riconoscimento come trattamento per una varietà di disturbi psichici, tra cui il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD), l’ansia, la depressione e il disturbo post-traumatico da stress (PTSD).

Nei casi di ADHD, studi hanno dimostrato che può migliorare l’attenzione e ridurre l’impulsività nei bambini e negli adulti. Nel trattamento dei disturbi d’ansia, il neurofeedback aiuta i pazienti a modulare le risposte fisiologiche allo stress e in questo modo contribuisce alla riduzione dei livelli di ansia. Per la depressione, alcuni studi indicano che il neurofeedback può alleviare i sintomi depressivi, migliorare l’umore e la qualità della vita. Il disturbo post-traumatico da stress è un altro campo in cui il neurofeedback ha mostrato promettenti risultati, grazie al lavoro di numerosi esperti.

Un esempio è la dottoressa e psicologa Anna Wise, che con il suo libro “The High-Performance Mind: Mastering Brainwaves for Insight, Healing, and Creativity” ha esplorato le potenzialità dell’allenamento con il neurofeedback per ottimizzare gli schemi mentali, allo scopo di migliorare la qualità della vita e le prestazioni intellettive.

Evoluzione delle Interfacce Cervello-Computer (BCI)

Le BCI hanno una storia più recente rispetto al neurofeedback, ma hanno fatto progressi significativi dagli anni ’90. Questi sistemi consentono la comunicazione diretta tra il cervello umano e un computer: ciò permette di tradurre l’attività neurale in segnali digitali. Inizialmente sviluppate per aiutare persone con gravi disabilità motorie, le BCI sono oggi utilizzate in vari contesti, tra cui la riabilitazione motoria, la comunicazione assistiva per persone affette da malattie come la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), e il controllo di protesi e dispositivi domestici.

Neurofeedback e BCI

Il primo utilizzo clinico congiunto di BCI e neurofeedback risale al 2001, quando venne applicata la modulazione dei potenziali corticali lenti (SCP) per controllare le convulsioni epilettiche non trattabili farmacologicamente. Questo approccio dimostrò che i pazienti capaci di autoregolare questi potenziali subivano meno attacchi epilettici rispetto ad altri e quindi il potenziale terapeutico combinato di queste tecnologie. Studi successivi hanno replicato questi risultati e hanno mostrato come l’autoregolazione degli SCP, integrata con programmi comportamentali autogestiti, possa ridurre significativamente il numero di attacchi.

L’integrazione del neurofeedback con le BCI può migliorare ulteriormente il trattamento dei pazienti poiché combina i benefici di entrambe le tecnologie. Mentre il neurofeedback aiuta i pazienti a modulare l’attività cerebrale per gestire disturbi come ADHD e PTSD, le BCI possono offrire un controllo diretto sui dispositivi esterni e di conseguenza migliorare l’autonomia e la qualità della vita. Questa sinergia può portare a trattamenti più efficaci che ridurrebbero considerevolmente la dipendenza dai farmaci e, di conseguenza, gli effetti collaterali.

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Redazione