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Alzheimer, è arrivata la cura perfetta | Una proteina stimolerà il cervello dei pazienti: la malattia regredisce all’istante

Anziani seduti su una panchina (Pixabay)

Anziani seduti su una panchina (Pixabay FOTO) - www.sciencecue.it

Una scoperta sorprendente svela che una proteina cerebrale potrebbe essere la chiave per far regredire istantaneamente i sintomi della malattia.

Le malattie neurodegenerative rappresentano una delle principali sfide per la medicina moderna. Queste patologie colpiscono il sistema nervoso centrale e si caratterizzano per un progressivo deterioramento delle funzioni cognitive e motorie, con conseguenze devastanti sulla qualità della vita dei pazienti. 

Tra i sintomi più comuni delle malattie neurodegenerative vi sono la perdita di memoria, difficoltà nel linguaggio, alterazioni dell’umore e della personalità, oltre a una progressiva incapacità di svolgere attività quotidiane. Questi disturbi tendono a svilupparsi lentamente, peggiorando nel tempo, e spesso non vengono riconosciuti nelle fasi iniziali, rendendo difficile una diagnosi precoce.

La ricerca scientifica ha fatto grandi progressi nella comprensione dei meccanismi che sottendono queste malattie, scoprendo anomalie a livello cellulare e molecolare, come l’accumulo di proteine tossiche nel cervello. Tuttavia, non esiste ancora una cura definitiva, e i trattamenti attuali sono principalmente volti a rallentare il decorso della malattia o ad alleviarne i sintomi.

La prevenzione e l’individuazione precoce rimangono essenziali nella gestione di queste patologie. Stili di vita sani, che includono una dieta equilibrata, l’attività fisica e la stimolazione mentale, possono ridurre il rischio di sviluppare malattie neurodegenerative.

Un nuovo sguardo sui farmaci anti-Alzheimer

Negli ultimi anni, i farmaci a base di anticorpi monoclonali sono stati al centro delle ricerche per contrastare il declino cognitivo causato dall’Alzheimer. Questi medicinali sono progettati per rimuovere le placche amiloidi, accumuli neurotossici considerati uno dei principali responsabili della malattia. Tuttavia, recenti studi suggeriscono che il vero beneficio di questi farmaci potrebbe risiedere in un effetto collaterale non intenzionale: l’aumento dei livelli di una proteina chiamata beta-amiloide 42 (Aβ42), fondamentale per la salute del cervello. Questo aumento potrebbe rallentare i sintomi della demenza tanto quanto la riduzione delle placche amiloidi.

La proteina Aβ42, prodotta naturalmente dalle cellule nervose, è un biomarcatore cruciale nell’Alzheimer, ma la sua forma solubile sembra essere altrettanto vitale per la funzione cerebrale. Secondo Alberto Espay, neurologo dell’Università di Cincinnati, la perdita di questa proteina – e non solo l’accumulo delle placche – potrebbe essere la vera causa del declino cognitivo. Le sue ricerche dimostrano che bassi livelli di Aβ42 sono strettamente correlati ai sintomi della malattia, suggerendo che il vero obiettivo delle terapie dovrebbe essere il ripristino dei suoi livelli.

Donna malata di Alzheimer (Pixabay)
Donna malata di Alzheimer (Pixabay FOTO) – www.sciencecue.it

Cambiare la metodologia di trattamento

Espay e il suo team hanno condotto un’analisi su circa 26.000 pazienti coinvolti in trial clinici per farmaci anti-Alzheimer, scoprendo che i trattamenti che aumentavano i livelli di Aβ42 erano associati a un più lento declino cognitivo. Questo suggerisce che il rallentamento della malattia potrebbe derivare dall’aumento della proteina solubile, piuttosto che dalla sola riduzione delle placche amiloidi. Ciò porta a una riflessione più ampia sull’efficacia delle terapie attuali: forse abbiamo finora inseguito l’obiettivo sbagliato concentrandoci esclusivamente sull’eliminazione delle placche.

Alla luce di queste nuove scoperte, è plausibile che in futuro ci si possa orientare verso farmaci che puntano direttamente ad aumentare la produzione di Aβ42, piuttosto che eliminare le placche amiloidi. Questo approccio potrebbe non solo essere più efficace, ma anche ridurre i rischi legati agli effetti collaterali dei farmaci attuali, come il rischio di atrofia cerebrale. Queste ipotesi, se confermate, potrebbero rivoluzionare il trattamento dell’Alzheimer, spostando l’attenzione dal “ripulire” il cervello all’idea di nutrirlo e rafforzarlo.