Scoperta una pittura rupestre che potrebbe raffigurare un animale ormai estinto
La nuova scoperta offre indizi su specie scomparse e arricchisce la conoscenza della fauna preistorica.
Le pitture rupestri rappresentano una delle più antiche forme di espressione artistica e comunicazione dell’umanità, con una storia che affonda le radici nel Paleolitico superiore, tra circa 40.000 e 10.000 anni fa. Queste opere sono state scoperte in varie parti del mondo, tra cui Europa, Africa, Asia e le Americhe, con esempi famosi come quelli delle grotte di Lascaux in Francia e Altamira in Spagna. Le pitture rupestri sono spesso considerate una finestra sul pensiero, le credenze e la vita quotidiana delle prime comunità umane, in un periodo in cui la scrittura non esisteva ancora.
Queste rappresentazioni si trovano principalmente all’interno di grotte o su pareti rocciose, e raffigurano animali, scene di caccia, figure umane stilizzate e simboli astratti. Gli studiosi credono che queste immagini potessero avere molteplici funzioni: espressioni religiose o spirituali, strumenti didattici per tramandare conoscenze sulla caccia e sul comportamento degli animali, o anche rappresentazioni di miti e leggende. Le tecniche utilizzate variavano dall’incisione alla pittura, con pigmenti ottenuti da materiali naturali come carbone, ocra, e argille, mescolati a grassi animali o altre sostanze leganti per produrre colori che resistessero nel tempo.
Lo studio delle pitture rupestri, noto come arte parietale, si è evoluto grazie alle scoperte archeologiche e agli sviluppi scientifici che consentono di datare le opere attraverso tecniche come il radiocarbonio e la termoluminescenza. Gli archeologi, insieme agli antropologi, hanno cercato di comprendere il significato di queste pitture, esplorando il contesto culturale e simbolico in cui furono create. Sebbene alcune interpretazioni restino speculative, è chiaro che queste pitture rappresentano un’importante testimonianza della capacità dell’uomo di pensare in modo simbolico e di lasciare tracce durature della propria esperienza collettiva.
La scoperta di un animale misterioso nell’arte rupestre sudafricana
Un sorprendente ritrovamento nell’arte rupestre sudafricana ha aperto nuove prospettive sul legame tra antiche specie estinte e la cultura indigena del popolo San. Un animale con zanne rivolte verso il basso, raffigurato nel famoso pannello del Serpente Cornuto, potrebbe rappresentare una creatura estinta da tempo e di cui rimangono solo tracce fossili.
Il pannello, dipinto tra il 1821 e il 1835, è parte di una sezione di parete rocciosa che raffigura animali e simboli della vita quotidiana del popolo San, una comunità di cacciatori-raccoglitori originaria della regione. L’interpretazione della creatura con le zanne, che non corrisponde a nessun animale vivente conosciuto nella zona, ha attirato l’attenzione di Julien Benoit, paleontologo dell’Università del Witwatersrand, che ha ipotizzato una connessione con i fossili di dicinodonti, un gruppo di animali estinti milioni di anni fa.
Il bacino del Karoo, una vasta regione del Sudafrica, è noto per l’abbondanza di fossili di dicinodonti, animali con caratteristiche uniche, tra cui prominenti zanne simili a quelle della creatura raffigurata nella pittura rupestre. La scoperta di fossili in superficie, spesso erosi dal terreno, avrebbe potuto ispirare il popolo San a includere questi animali preistorici nella loro arte. Questa teoria è ulteriormente sostenuta dalle antiche credenze dei San, che narravano l’esistenza di grandi creature ora estinte, e suggerisce che i cacciatori-raccoglitori fossero consapevoli dei fossili e li avessero integrati nel loro sistema di conoscenza e credenze. Questo legame tra fossili e arte preistorica offre uno sguardo straordinario sulla comprensione indigena del mondo naturale.
L’arte rupestre come testimonianza di conoscenze paleontologiche antiche
La scoperta di Benoit porta con sé una riflessione affascinante: se il dipinto del dicinodonte fosse veramente un’interpretazione artistica basata su fossili, precederebbe di almeno un decennio la prima descrizione scientifica occidentale di questi animali da parte di Richard Owen nel 1845. Ciò confermerebbe che il popolo San aveva non solo osservato i fossili, ma li aveva anche compresi e reinterpretati nella loro arte molto prima che gli scienziati europei scoprissero e catalogassero ufficialmente questi antichi animali. Questo potrebbe riscrivere parte della storia della paleontologia, evidenziando il ruolo che le culture indigene hanno avuto nel riconoscimento dei resti fossili.
Sebbene la conoscenza indigena della paleontologia rimanga ancora in gran parte inesplorata, ci sono prove che il popolo San raccolse e conservò fossili, integrandoli nelle proprie credenze religiose e mitologiche. È possibile che altre culture antiche in Africa e in altre parti del mondo abbiano sviluppato simili connessioni tra i fossili e le loro tradizioni artistiche e spirituali. Lo studio di Benoit sottolinea quanto sia importante continuare a indagare su come le antiche società abbiano interpretato i resti di animali preistorici e integrato queste conoscenze nei loro sistemi di credenze. Ulteriori ricerche potrebbero portare alla luce nuove connessioni tra arte rupestre e fossili, arricchendo la nostra comprensione della visione del mondo delle culture preistoriche.
Il dipinto rupestre sudafricano che raffigura un animale dalle zanne rivolte verso il basso non rappresenta solo una scoperta artistica, ma potrebbe costituire una prova concreta che il popolo San possedeva una conoscenza paleontologica precedente a quella della scienza occidentale. La rappresentazione di un dicinodonte, una specie estinta milioni di anni fa, mette in luce come le culture indigene abbiano osservato e interpretato il loro ambiente, incorporando i fossili nella loro arte e nella loro mitologia. Questa scoperta apre nuovi orizzonti nello studio dell’arte rupestre e del modo in cui gli esseri umani di epoche remote abbiano interagito con il passato geologico e le creature estinte.