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Gli ultimi istanti di vita degli abitanti di Pompei sono stati descritti dal DNA: lo studio

Calco di un antico pompeiano (Depositphotos)

Calco di un antico pompeiano (Depositphotos FOTO) - www.sciencecue.it

Chi erano gli ultimi abitanti di Pompei? Uno studio italiano fornisce nuove informazioni su quest’antica strage.

Nel 79 d.C., molte città romane quali Pompei, Ercolano, Oplontis e Stabia vennero colpite da una gigantesca eruzione da parte del complesso vulcanico Somma-Vesuvio. Un’immane catastrofe che tutti noi abbiamo studiato a scuola, o ne abbiamo sentito parlare per via della sua storia tragica, ma anche delle scoperte che annualmente arricchiscono le nostre conoscenze su questo periodo.

Le vittime dell’eruzione rimasero intrappolate sotto strati di ceneri e lapilli, che formarono delle sorte di “gusci” intorno ai corpi. Con il tempo, i tessuti si decomposero, lasciando spazi vuoti nel materiale solidificato. Fu l’archeologo Giuseppe Fiorelli, nel XIX secolo, a intuire che iniettando gesso liquido in questi spazi si poteva ottenere un calco esatto di corpi e oggetti: questo approccio ci ha consentito di vedere nei dettagli le posizioni e i gesti delle vittime negli ultimi istanti. Molti calchi raccontano storie drammatiche: persone in cerca di riparo, volti coperti dalle mani, familiari abbracciati, sorpresi dalle ardenti nubi piroclastici senza alcuna possibilità di fuga. 

Oggi possiamo spingerci oltre nella comprensione della loro storia personale, analizzando anche il DNA dai resti ossei conservati nei calchi. Tecniche avanzate di analisi genetica ci permettono di estrarre dati che rivelano età, sesso e possibili relazioni di parentela tra le vittime. Un caso emblematico è quello di due uomini, uno giovane e uno anziano, ritrovati abbracciati: attraverso l’analisi del DNA, si è compreso che potrebbero essere stati familiari, forse padre e figlio, uniti anche nei loro ultimi istanti.

Una recente scoperta, però, potrebbe mettere in dubbio le conoscenze pregresse che avevamo sui calchi. Lo studio è stato condotto da un team di ricercatori italiani esperti del cosiddetto “DNA antico”, o aDNA, infatti sono stati capaci di sequenziare i genomi di alcuni abitanti di Pompei. In sostanza, i dati contraddicono le narrazioni precedenti sull’identità e le relazioni delle vittime, scoprendo che molte di esse discenderebbero da antichi abitanti migrati poco prima dell’eruzione dalle zone del Mediterraneo orientale.

Una società multietnica

Le recenti analisi del DNA antico estratto dalle ossa racchiuse in questi calchi hanno offerto una visione completamente nuova sulle identità di queste persone e sulla composizione della popolazione pompeiana. Attraverso il sequenziamento del genoma, è stato possibile ricavare informazioni su sesso, relazioni di parentela e origini genetiche, ribaltando molte interpretazioni archeologiche precedenti. Infatti, l’analisi genetica ha rivelato che gli abitanti di Pompei discendevano prevalentemente da popolazioni provenienti dalle zone Mediterraneo orientale, ed è conforme con alcuni dati emersi dallo studio del DNA di altri abitanti romani dello stesso periodo.

Quindi, Pompei e Roma si assomigliavano parecchio: erano due città multietniche, caratterizzate da una pregressa e continua migrazione da tutto il bacino del mediterraneo. A livello genetico e sociale, possiamo dire che a Pompei arrivavano e transitavano tantissime persone, non solo locali, evidenziando ancora di più quel che già sapevamo: l’Impero era multietnico e cosmopolita, più di quanto immaginato fino ad ora.

Alcuni calchi a Pompei (Depositphotos)
Alcuni calchi a Pompei (Depositphotos FOTO) – www.sciencecue.it

Cosa sappiamo ora sulla vita dei pompeiani

Le analisi genetiche hanno smentito alcune interpretazioni consolidate delle scene che i calchi rappresentano, mostrando che le relazioni tra le vittime non erano sempre quelle che si pensava. Un esempio eclatante è quello di una figura adulta con un prezioso bracciale d’oro che stringeva un bambino: tradizionalmente ritenuti madre e figlio, questi individui sono risultati invece un adulto di sesso maschile e un bambino non imparentati. Allo stesso modo, una coppia di individui abbracciati, interpretati come sorelle, includeva almeno un uomo, dimostrando come le apparenze nei calchi abbiano spesso portato a interpretazioni erronee.

Le nuove scoperte mostrano anche che i criteri moderni di “famiglia” non si applicano sempre alla società romana antica, in cui il termine aveva un significato più ampio. All’epoca, il concetto di famiglia si estendeva a chiunque condividesse lo stesso ambiente domestico, incluse le persone prive di legami di sangue, come schiavi e servi, e l’adozione era pratica comune. In questo contesto, le persone si trovavano a fronteggiare un evento apocalittico: non sorprende che qualcuno cercasse di proteggere un bambino a prescindere dalla parentela o di salvare oggetti di valore come un bracciale d’oro. Questo studio spinge a riconsiderare l’intera società pompeiana, le sue strutture sociali e il modo in cui le persone si relazionavano nei momenti estremi.