Dall’Università di Ferrara uno studio che svela come gli zebrafish evitino i compiti più complessi (proprio come noi)
Credi di essere l’unico pigro ad evitare i compiti più complessi? Tranquillo, sei in buona compagnia con gli zebrafish.
Il Danio rerio, noto comunemente come zebrafish, è un piccolo pesce d’acqua dolce originario del sud-est asiatico, famoso per le bande bianche e nere che ricordano una zebra, da cui deriva il nome. Negli ultimi anni è diventato un organismo modello molto utilizzato nella ricerca scientifica, grazie a una serie di caratteristiche uniche che lo rendono prezioso per gli studi biomedici e comportamentali. Lo zebrafish è un pesce di piccole dimensioni, circa 3-4 cm in età adulta, e ha una vita media di 2-3 anni, anche se in laboratorio può vivere fino a 5 anni in condizioni ottimali.
Un aspetto particolarmente interessante dello zebrafish è il suo genoma, che è stato completamente sequenziato e presenta una somiglianza significativa con quello umano; circa il 70% dei geni del pesce sono omologhi ai nostri, e oltre l’80% dei geni umani associati a malattie hanno un corrispettivo nello zebrafish. Questa vicinanza genetica permette di usare questo pesce per studiare malattie genetiche, cancro, malattie cardiache e disturbi neurodegenerativi, creando modelli genetici modificati per osservare i ruoli specifici dei singoli geni.
Anche i comportamenti dello zebrafish sono oggetto di studio: è un animale sociale, che vive in gruppo e risponde a stimoli ambientali e sociali con una varietà di comportamenti complessi; ad esempio, è possibile osservare risposte di ansia in condizioni di stress, simili a quelle di animali più complessi. Gli zebrafish mostrano persino il cosiddetto comportamento di “thigmotaxis”, ovvero la tendenza a stare vicino alle pareti dell’ambiente, un indicatore comune di ansia usato anche in studi sui roditori.
La trasparenza e la facilità di accesso alle strutture interne del pesce fanno sì che lo zebrafish sia utilizzato anche negli studi neuroscientifici. Un recente studio condotto dall’Università di Ferrara indica che questo pesce è caratterizzato da un fenomeno conosciuto come “pigrizia cognitiva”, generalmente associato all’essere umano. Questa ricerca ha mostrato che questi piccoli pesci d’acqua dolce preferiscono, quando possibile, soluzioni semplici per risolvere problemi, evitandone di più complesse e dispendiose in termini di sforzo cognitivo.
La pigrizia cognitiva degli zebrafish
In esperimenti specifici, gli zebrafish sono stati capaci di risolvere un puzzle aprendo un piccolo distributore di cibo, ma quando potevano scegliere tra questa soluzione e un accesso libero al cibo, oltre il 90% dei pesci optava per la via più semplice. Tale scelta rappresenta un’eccezione interessante rispetto alla maggior parte degli altri vertebrati, che spesso preferiscono percorsi cognitivi più complessi per ottenere una ricompensa, pur avendo alternative più immediate.
Il confronto con altre specie arricchisce la comprensione di questa peculiarità comportamentale. Diversi animali, inclusi scimpanzé, maiali, cani, macachi e persino polli, mostrano una predilezione per compiti che richiedono l’impiego delle proprie capacità cognitive. Al contrario, gli zebrafish sembrano essere tra i pochi a preferire una soluzione priva di sfide, anche in condizioni di cattività dove i compiti cognitivi sono concepiti per arricchire il loro benessere.
Tra benessere e cattività
Il concetto di “arricchimento cognitivo” sta diventando fondamentale negli studi sul benessere animale e trova ampia applicazione per migliorare le condizioni degli animali in cattività. Quando gli animali affrontano compiti cognitivi in cambio di ricompense, i benefici comportamentali e fisiologici risultano significativi, soprattutto in termini di riduzione dello stress. Nel caso degli zebrafish, gli studiosi hanno osservato che sottoporli a compiti di problem-solving per ottenere cibo migliora il loro benessere generale. Un gruppo di zebrafish, impegnato regolarmente a risolvere puzzle per accedere al cibo, ha mostrato livelli di stress minori rispetto a un gruppo di controllo che accedeva liberamente al nutrimento.
Tuttavia, il benessere dei pesci in cattività resta una sfida complessa per gli studiosi di etologia applicata. Comprendere e misurare le condizioni di benessere nei pesci risulta particolarmente arduo, poiché, a differenza dei mammiferi, i segni comportamentali di comfort e di interesse per le attività sono spesso difficili da interpretare. Per questa ragione, le ricerche attuali propongono l’uso di tecnologie avanzate, come l’intelligenza artificiale, per individuare segnali comportamentali complessi e monitorare il benessere dei pesci. Questo ambito di ricerca è di importanza crescente non solo per motivi etici ma anche a causa dell’elevato numero di pesci presenti negli allevamenti.