Nel 1898 due leoni uccisero quasi 30 persone. Il DNA è riuscito a spiegarci il “perché” di quest’intensa caccia.
Nel 1898, due leoni maschi senza criniera, noti come i “man-eaters” di Tsavo, o letteralmente “cacciatori di uomini”, divennero protagonisti di una delle storie di caccia più inquietanti nella storia naturale.
Questi predatori, attivi per circa nove mesi, uccisero almeno 28 persone in un campo di costruzione sul fiume Tsavo, in Kenya.
La natura della loro predazione ha sollevato interrogativi per oltre un secolo. I resti dei leoni, conservati al Field Museum di Chicago, sono stati oggetto di studi approfonditi.
Recentemente, nuove tecniche di analisi del DNA, tra cui l’estrazione di materiale genetico dai peli rinvenuti nei denti dei leoni, hanno rivelato informazioni sorprendenti sul loro comportamento alimentare. Questo studio ha permesso di identificare non solo la varietà delle prede, ma anche di fare nuove scoperte sulle circostanze che potrebbero aver portato questi leoni a predare esseri umani.
Nel 1898, un gruppo di ingegneri britannici era impegnato nella costruzione di un ponte sul fiume Tsavo. La regione, un’area ricca di fauna selvaggia, divenne teatro di eventi tragici. I due leoni, privi della tipica criniera, si introdussero nel campo con una tecnica di caccia sorprendentemente audace, trascinando le vittime dalle tende durante la notte. In un periodo che durò da marzo a dicembre, questi leoni divennero famosi per la loro capacità di uccidere sistematicamente gli esseri umani, causando almeno 28 morti. La storia racconta che il tenente colonnello John Henry Patterson, comandante del progetto, uccise i leoni nel 1898 e li conservò per inviarli al Field Museum di Chicago, dove furono esposti per decenni.
Nel corso degli anni, gli scienziati hanno cercato di capire cosa abbia spinto questi leoni a intraprendere tale comportamento. Tradizionalmente, si ipotizzava che i leoni di Tsavo fossero un’eccezione, ma le indagini moderne hanno gettato nuova luce sul loro comportamento e sulla loro dieta. Durante gli anni ’90, il ricercatore del Field Museum, Thomas Gnoske, esaminò i crani dei leoni e scoprì migliaia di peli compattati nelle cavità dentali, una scoperta che avrebbe portato a nuove ricerche sul comportamento alimentare di questi predatori.
Nel tentativo di comprendere meglio cosa mangiassero questi leoni, un team di scienziati, tra cui Gnoske e il biologo Julian Kerbis Peterhans, utilizzò tecniche moderne di analisi del DNA. Negli ultimi anni, sono stati utilizzati metodi avanzati per estrarre materiale genetico da piccoli frammenti di peli conservati nei denti dei leoni, un approccio che ha rivelato sorprese significative. L’analisi del DNA mitocondriale (mtDNA) è stata la chiave per identificare le prede. Il mtDNA, che viene ereditato dalla madre e tende a conservare meglio le sue tracce nel tempo, si è rivelato utile per tracciare le linee matrilineari delle specie predate. La sequenza del DNA ha permesso di identificare una sorprendente varietà di prede. Oltre agli esseri umani, i leoni di Tsavo avevano predato giraffe, zebre, gnu, orici e le cosiddette “antilopi d’acqua”, con la scoperta di almeno due giraffe della sottospecie Masai, tipica della regione. Sorprendentemente, sono stati trovati anche tracce di DNA di leone, suggerendo che i leoni di Tsavo avessero praticato “auto-groomed” (per semplificare, possiamo dire che mantennero una “connessione fisica”), condividendo comportamenti che rafforzano l’idea che questi predatori fossero probabilmente fratelli. Questo dato supporta l’ipotesi che fossero due leoni maschi adulti che cacciavano insieme, e le loro prede erano sicuramente influenzate dalla disponibilità di animali nella regione.
Inoltre, i ricercatori hanno notato che le popolazioni di bufali, una delle prede più comuni per i leoni odierni, erano devastate dalla peste bovina che aveva colpito l’Africa alla fine del XIX secolo. Questo potrebbe aver costretto i leoni di Tsavo a cercare prede alternative, inclusi gli esseri umani, un fatto che aiuta a spiegare la frequenza degli attacchi al campo dei lavoratori. Le analisi hanno anche evidenziato l’assenza di alcune prede che oggi sono tipiche della dieta dei leoni di Tsavo, come i bufali, suggerendo che l‘ecosistema dell’epoca era profondamente cambiato a causa di fattori esterni, come malattie epidemiche, che avevano ridotto la disponibilità di prede tradizionali. Questo potrebbe aver portato i leoni ad adattarsi a nuovi tipi di cibo, tra cui la carne umana.