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Una breve storia sulla nascita del primo microscopio elettronico

Per il principio di de Broglie, le particelle atomiche hanno, accanto alla loro natura corpuscolare, anche un carattere ondulatorio. Per uno strano scherzo del destino, la natura duale della materia si è incarnato nella famiglia Thomson. Nel 1906, infatti, Sir Joseph John Thomson vinse il premio Nobel per la fisica per la scoperta del corpuscolo elettrone (avvenuta nel 1897); 31 anni dopo il figlio George Thomson ricevette il premio Nobel per la fisica, insieme a Clinton Davisson, per la scoperta delle proprietà ondulatorie dell’elettrone.

La dualità onda-particella è alla base di numerosi strumenti importanti, come i microscopi elettronici che medici e scienziati utilizzano per osservare, studiare e identificare oggetti troppo piccoli per essere rilevati da microscopi ottici tradizionali, come i virus del raffreddore o dell’AIDS.

La nascita del microscopio elettronico

Nel 1931 gli scienziati tedeschi Max Knoll ed Ernst Ruska compresero che, poiché la lunghezza d’onda associata agli elettroni è molto più piccola di quella della luce visibile, un microscopio basato su immagini elettroniche avrebbe consentito ingrandimenti assai maggiori di quelli permessi da un microscopio ottico.

Questo perché un oggetto, o un dettaglio, più piccolo della lunghezza d’onda non riesce ad avere alcun effetto sull’onda che lo colpisce: in altre parole, il potere di risoluzione di un microscopio è inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda della radiazione usata. Il primo microscopio elettronico costruito da Knoll e Ruska permise di ottenere le prime immagini di un virus, impresa che valse a Ruska il premio Nobel per la fisica (assai tardivo) nel 1986, due anni prima della sua morte.

A cura del Prof. Vincenzo Giordano

Ma cos’è un microscopio elettronico?

Il microscopio elettronico è uno strumento che utilizza fasci di elettroni anziché luce visibile per ingrandire i dettagli di un campione con una risoluzione molto superiore a quella dei microscopi ottici. Funziona grazie a un cannone elettronico che emette elettroni accelerati da un campo elettrico e focalizzati da lenti elettromagnetiche. Questi elettroni interagiscono con il campione, producendo segnali che vengono raccolti e trasformati in immagini ad alta definizione. A seconda del tipo di microscopio elettronico, il segnale può provenire dagli elettroni trasmessi attraverso il campione (microscopia elettronica a trasmissione, TEM) o dagli elettroni riflessi dalla superficie (microscopia elettronica a scansione, SEM).

Nel TEM, il fascio di elettroni attraversa sezioni ultrasottili del campione e viene rilevato su uno schermo o un sensore digitale, permettendo di osservare dettagli a livello atomico. Nel SEM, invece, il fascio di elettroni scansiona la superficie del campione, rivelandone la morfologia tridimensionale con immagini ad altissimo dettaglio. Per funzionare, entrambi i tipi di microscopi richiedono il vuoto, per evitare che gli elettroni vengano dispersi dalle molecole d’aria, e spesso necessitano di trattamenti specifici del campione, come il rivestimento con materiali conduttivi per il SEM o il taglio ultrafine per il TEM.