Perché quando camminiamo sulla sabbia essa si asciuga per poi ribagnarsi dopo pochi minuti?
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Impronte sulla sabbia (Pixabay FOTO) - www.sciencecue.it
State camminando sulla sabbia bagnata in riva al mare. Quando il piede si posa, la sabbia all’interno dell’impronta e tutt’attorno si prosciuga rapidamente, diventando più chiara e poi, non appena lo sollevate, si ribagna nel giro di pochi minuti. Lo avete notato? Vi siete chiesti perché?
Prima che mettiate i piedi sulla sabbia, la disposizione dei granelli è grossomodo la più compatta possibile (se questi ultimi fossero sfere identiche, si disporrebbero come le arance impilate dai fruttivendoli: in ogni strato, ciascuna sfera sarebbe circondata e “toccata” da altre sei sfere, e combacerebbe con una cavità dello strato sottostante); l’acqua riempie gli interstizi e in parte si distribuisce in superficie, inumidendola.
La miscela acqua-sabbia
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Quando mettete un piede sulla sabbia, la sottoponete a sforzi di taglio che modificano la disposizione dei granelli, forzandoli a rotolare gli uni sugli altri, come ingranaggi, fino a quando l’attrito li blocca in una configurazione non ottimale, meno compatta. Questo movimento, quindi, fa aumentare lo spazio interstiziale tra i granelli: si tratta dell’effetto di “dilatanza”.
Presto l’acqua che si trova alla superficie della sabbia e nelle regioni circostanti defluisce nello spazio aggiuntivo che si è creato tra i granelli, lasciando sia la prima che le seconde abbastanza asciutte. Quando sollevate il piede, la sollecitazione si allenta, i granelli si ricompattano come all’inizio, il volume interstiziale si riduce e una sottile pellicola d’acqua ricompare sulla superficie della sabbia. La miscela acqua-sabbia è tornata ad essere una poltiglia.
Due curiosità
La prima è che Keplero non era interessato ad impilare le arance nel modo migliore possibile ma intendeva rispondere ad una precisa e sentita esigenza di carattere militare. Il condottiero Sir Walter Raleigh cercava la soluzione migliore per stipare nel minor spazio possibile il maggior numero di palle di cannone sulle navi. La seconda è che le palle di cannone sono indirettamente legate alla costante e di Nepero (o Eulero). Sì, avete capito bene, non sono vittima di una insolazione. Eulero fu il primo ad usare la lettera “e” per indicare la base dei logaritmi naturali, in un manoscritto sulla balistica delle palle di cannone. Si ritiene che abbia scelto “e” perché era la prima lettera “inutilizzata” disponibile – i testi di matematica erano già pieni di “a”,”b”,”c” e “d” – piuttosto che averla denominata così dalla parola “esponenziale” o dalla lettera iniziale del proprio cognome.
Versando in modo casuale delle biglie identiche in un recipiente, gli spazi vuoti formerebbero circa il 40% del volume totale. Se, invece, le stipassimo come fanno i fruttivendoli con le arance (anche se loro non lo sanno e non lo chiamano così, il loro impacchettamento prevede l’uso di un reticolo cubico a facce centrate), gli spazi vuoti scenderebbero addirittura al 26% del volume totale. Si può fare di meglio? Keplero, nel 1611, congetturò che questa fosse la disposizione ottimale, quella in assoluto più “fitta”. In effetti, la congettura è abbastanza intuitiva (i fruttivendoli sanno il fatto loro). Ma i matematici sanno benissimo che fatti in apparenza semplici e ovvi possono essere falsi, oppure possono essere veri ma estremamente difficili da dimostrare. Il problema di Keplero si è rivelato un esempio del secondo caso. La sua congettura è diventata un teorema solo nel 1998, quando Thomas Hales ha annunciato di averne trovato una dimostrazione con l’aiuto consistente del computer. In realtà, la sua dimostrazione era corretta al 99%. Una completa dimostrazione formale è arrivata nell’agosto 2014.