Illustrazione di una collisione planetaria (Pixabay FOTO) - www.sciencecue.it
La presenza di certi elementi sul nostro pianeta sembra a tratti inspiegabile, ma anche la loro assenza è legata quasi allo stesso principio.
Ci sono domande che gli scienziati si pongono da secoli, e una di queste è: da dove vengono gli elementi che compongono la Terra? E soprattutto, perché alcuni sembrano spariti nel nulla? Questo mistero ha fatto scervellare generazioni di ricercatori, ma ora un nuovo studio ha messo in discussione tutto quello che pensavamo di sapere sull’argomento.
Un team di scienziati guidato da Damanveer Grewal dell’Arizona State University, in collaborazione con ricercatori di Caltech, Rice University e MIT, ha analizzato alcuni meteoriti e scoperto qualcosa di sorprendente. Tradizionalmente si pensava che alcuni elementi volatili moderati (MVEs), come rame e zinco, fossero andati perduti molto presto nel processo di formazione planetaria. Invece, pare che le cose siano andate diversamente: i primi “mattoni” del Sistema Solare, i planetesimi, avevano un bel po’ di questi elementi e li hanno conservati per un bel po’.
La chiave per risolvere il puzzle stava nei meteoriti ferrosi, frammenti delle antiche strutture metalliche di questi planetesimi. Analizzandoli, i ricercatori hanno scoperto che molti di questi corpi celesti erano ricchi di MVEs. Questo significa che la Terra e Marte non sono nati poveri di questi elementi, come si credeva, ma li hanno persi in seguito, nel caos di scontri e impatti che hanno caratterizzato la loro formazione.
Insomma, ci troviamo di fronte a una riscrittura della storia chimica del nostro pianeta. E come spesso accade nella scienza, ogni risposta genera nuove domande. Se all’inizio c’erano più MVEs, cosa ha portato alla loro perdita? E quali altri segreti si nascondono tra le pieghe del nostro passato cosmico?
Proviamo a immaginare il Sistema Solare nei suoi primi istanti: una gigantesca nube di polvere e gas che, piano piano, si compatta formando piccoli corpi rocciosi. Questi sono i planetesimi, i primi mattoni dei pianeti. Alcuni di loro diventano i nuclei dei futuri mondi, altri restano vagabondi nello spazio, trasformandosi in meteoriti che, miliardi di anni dopo, piombano sulla Terra e su altri corpi celesti. Tradizionalmente si pensava che gli elementi volatili moderati avessero difficoltà a condensarsi e finissero dispersi nello spazio, o che venissero eliminati durante i processi di fusione e differenziazione dei planetesimi.
Ma i meteoriti ferrosi ci raccontano una storia diversa. Alcuni di questi corpi primitivi avevano abbondanti quantità di MVEs e li hanno trattenuti a lungo, il che significa che la loro perdita è avvenuta in un secondo momento. Gli scienziati hanno scoperto che i planetesimi del Sistema Solare interno, quelli più vicini al Sole, non erano così poveri di MVEs come si credeva. Anzi, ne avevano in quantità simili a quelle delle meteoriti condritiche, le più primitive e incontaminate.
Se la Terra e Marte avevano inizialmente una buona scorta di elementi volatili moderati, quando e come li hanno persi? Qui entra in gioco il caos della formazione planetaria: un’epoca di scontri catastrofici tra planetesimi, in cui corpi celesti si frantumavano, si fondevano e venivano bombardati da altri oggetti spaziali. Le simulazioni suggeriscono che questi impatti giganti abbiano avuto un ruolo chiave nella perdita di MVEs.
Quando due planetesimi si scontrano a velocità elevate, il calore generato può essere sufficiente a vaporizzare alcuni elementi, che poi sfuggono nello spazio. Se questi eventi si sono ripetuti abbastanza spesso, ecco che pianeti come la Terra hanno finito per perdere una parte significativa di questi ingredienti chimici. Questa scoperta non cambia solo la nostra comprensione della storia del nostro pianeta, ma potrebbe anche aiutarci a capire come si formano i pianeti in altri sistemi stellari. Se sappiamo che la perdita di MVEs è legata agli impatti, possiamo stimare quali mondi abbiano ancora un ricco inventario di questi elementi e, magari, quali siano più propensi a ospitare la vita.