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Acufene cronico? Dipende dal cervello

Uno studio condotto dalla University of Illinois ha messo in luce come l’acufene cronico sia associato ai cambiamenti in alcune reti nel cervello, verificando inoltre l’origine organica del disturbo e il modo in cui incide negativamente sulla qualità della vita

Acufene

Acufene, credits: uconn-today.universityofconn.netdna-cdn.com

Uno studio condotto dalla University of Illinois ha messo in luce come l’acufene cronico, quel fastidioso e continuo “fischio” avvertito dai pazienti che ne soffrono, sia associato ai cambiamenti in alcune reti nel cervello: la ricerca, oltre a verificare che il disturbo ha origine organica (e non psicologica, contrariamente a quanto ipotizzato), ha quantificato definitivamente l’incisione negativa che esercita sulla qualità della vita, impedendo al cervello di “mettersi in pausa” e riposare.

Identificata l’area del cervello interessata

Attraverso la risonanza magnetica funzionale i ricercatori sono riusciti a creare dei modelli sulla funzione e sulla struttura del cervello, scoprendo che l’acufene viene a formarsi in una zona chiamata “precuneo”, la regione del lobulo parietale superiore collocata davanti al cuneo del lobo occipitale, coinvolta nella memoria episodica, elaborazione visuale-spaziale, riflessione su se stessi, e aspetti della coscienza.

In rosso l’area del cervello chiamata Precuneo. Credits: wikimedia.org

Diverso nei pazienti che soffrono di acufene

I ricercatori dunque hanno scoperto che il precuneo dei pazienti con acufene risulta “modificato”, più connesso alla rete di attenzione e meno connesso alla rete che lo mette in ‘pausa’. La qualità del sonno del paziente affetto pertanto risulta insoddisfacente dal momento che il cervello dedica maggiore attenzione sul fastidioso fischio che accompagna ogni momento del giorno e della notte, con l’effetto paradossale di peggiorare la concentrazione.

Nuove speranze

Lo studio, pubblicato sulla rivista NeuroImage: Clinical, promette nuovi trattamenti per curare il disturbo che, dalle stime ufficiali, colpisce fra il 10% e il 30% della popolazione mondiale.