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Apocalisse Vajont: cosa successe il 9 ottobre 1963

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Una veduta di Longarone, uno dei paesi distrutti dal disastro del Vajont, il 9 ottobre 1963, prima della tragedia. ANSA/ ARCHIVIO

L’apocalisse Vajont del 9 ottobre 1963 rimarrà per sempre impressa nella memoria degli italiani. Quel giorno di 60 anni fa, nel tranquillo paesino di Longarone, in provincia di Belluno, nel cuore delle Dolomiti, si verificò una delle peggiori tragedie naturali mai accadute in Italia. Questo evento sconvolgente non solo ha causato la perdita di vite umane, ma ha anche plasmato il paesaggio e la storia del luogo.

La diga del Vajont

La diga del Vajont è una diga situata nella valle del torrente Vajont, nel territorio del comune di Erto e Casso, in provincia di Pordenone, Italia. È stata costruita tra il 1957 e il 1960 ed è stata completata nel 1961. Progettata per scopi idroelettrici, aveva l’obiettivo di generare energia elettrica per la regione circostante. La diga del Vajont è ancora in piedi oggi, ma non è più in uso per la produzione di energia idroelettrica. La sua storia serve come un triste monito sulla necessità di prendere precauzioni estreme quando si costruiscono infrastrutture di questo tipo, specialmente in aree sismiche e soggette a frane. Oggi la diga è un monumento dedicato alla memoria delle vittime e il sito è diventato un museo che racconta la tragedia e le sue conseguenze.

Le cause dell’apocalisse Vajont

Per comprendere la tragedia del Vajont, è essenziale approfondire le cause che hanno portato a un evento così devastante. Uno dei fattori principali fu la scelta della posizione per la costruzione della diga del Vajont. La diga fu costruita alla base di un versante instabile del monte Toc, noto per le frequenti frane. Nonostante gli ingegneri dell’epoca fossero a conoscenza dell’instabilità del terreno, presero la decisione di costruire la diga in quella posizione critica senza le dovute precauzioni. Il versante del monte Toc era caratterizzato da rocce friabili e da una geologia che favoriva la formazione di frane. Le piogge abbondanti e le variazioni di temperatura contribuivano a indebolire ulteriormente il terreno, rendendolo estremamente vulnerabile alle frane. Questa instabilità era nota già prima della costruzione della diga, ma le avvertenze furono ignorate, o peggio, sottovalutate.

La costruzione della diga del Vajont ha introdotto nuove pressioni sul versante del monte Toc. Il peso dell’acqua nel bacino del Vajont, oltre a quello della diga stessa, ha esercitato una forza considerevole sul terreno sottostante. Questa pressione aggiuntiva ha reso il versante ancora più suscettibile alle frane, creando una situazione estremamente pericolosa. Gli ingegneri e gli amministratori responsabili non presero sufficienti precauzioni. La fiducia eccessiva nelle tecniche di ingegneria dell’epoca portò a sottovalutare i rischi reali. Questa fiducia mal riposta nelle capacità umane e nella tecnologia portò alla decisione di riempire il bacino del Vajont fino a un livello superiore a quello precedentemente considerato sicuro.

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Credit: ANSA

Cosa successe il 9 ottobre 1963?

Nella notte tra il 9 e il 10 ottobre 1963, la diga del Vajont crollò provocando una delle peggiori tragedie nella storia d’Italia. Quel giorno, un’enorme frana si staccò dal monte Toc, scivolando nel bacino artificiale del Vajont. La frana fece precipitare in acqua oltre 260 milioni di metri cubi di rocce, creando un’onda di enormi proporzioni. Quando la frana si riversò nel bacino, sollevò una violenta ondata d’acqua che superò la diga di oltre 250 metri d’altezza. Questa imponente massa d’acqua si abbatté a valle con una velocità e una forza inaudite, spazzando via tutto ciò che incontrava lungo il suo cammino. L’onda distrusse diversi villaggi, tra cui Longarone, Pirago, Rivalta, Villanova, Faè, e altri, causando la perdita immediata di migliaia di vite umane.

L’onda del Vajont si estese per chilometri, raggiungendo anche il Piave e causando danni ingenti lungo il suo corso. La devastazione fu inimmaginabile: la furia dell’acqua trascinò via case, edifici, alberi e persone. Le conseguenze furono catastrofiche, con interi villaggi cancellati e un numero impressionante di vittime, pari a 1917 persone, di cui 487 bambini.

Le conseguenze e l’impatto del disastro

L’immediata devastazione causata dalla tragedia del Vajont il 9 ottobre 1963 è stata sconvolgente. Il paesaggio, una volta pittoresco, si è trasformato in un territorio di distruzione irreversibile. Tuttavia, le conseguenze di questa tragedia si sono estese ben oltre la perdita di vite e i danni materiali. La paura, il dolore e la rabbia dei sopravvissuti hanno plasmato le generazioni successive, influenzando profondamente diversi aspetti della società italiana. L’apocalisse del Vajont ha rivoluzionato l’approccio all’ingegneria civile e alla gestione del rischio in Italia. Gli ingegneri hanno iniziato a rivedere le loro pratiche e ad adottare nuovi standard di sicurezza per prevenire futuri disastri di questa portata. Questa tragica esperienza ha portato a una maggiore consapevolezza dei limiti della tecnologia, enfatizzando l’importanza di basare le decisioni su dati scientifici solidi.

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Credit: ANSA

Impatto culturale e sociale dell’apocalisse Vajont

L’apocalisse del Vajont non ha solo lasciato cicatrici fisiche sul paesaggio, ma ha anche avuto un impatto profondo sulla cultura e sulla società italiane. La fiducia nel progresso e nella tecnologia è stata scossa, portando a una maggiore consapevolezza dell’importanza di bilanciare lo sviluppo con il rispetto per l’ambiente e la natura. Oggi, a sessant’anni dal disastro del Vajont, l’eredità di quella terribile giornata è ancora presente nelle menti e nei cuori delle persone che hanno vissuto quella tragedia. Le lezioni apprese dal Vajont hanno permesso migliorare le normative sulla sicurezza delle dighe e promuovere una maggiore consapevolezza ambientale. Tuttavia, l’evento continua anche a rappresentare una sfida costante per gli ingegneri che devono bilanciare le esigenze dello sviluppo infrastrutturale con la tutela dell’ambiente.

Credit copertina: ANSA