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Asteroidi? Houston, no problem!

NASA, ESA e privati: soluzioni per individuare asteroidi pericolosi in un tempo utile per evacuare le zone a rischio

Asteroid impact solutions

investigatemagazine.co.nz

Misteriosi corpi celesti…

Sentiamo parlare sempre più spesso di asteroidi, gli astro-killer potenzialmente pericolosi per qualsiasi target in rotta di collisione. Ma cosa sono gli asteroidi? Possiamo salvarci dalla loro incombente minaccia? Un asteroide è un corpo celeste di forma irregolare, la cui composizione fisico-chimica è simile a quella dei pianeti terrestri. Le loro orbite sono caratterizzate da una notevole eccentricità e alcuni possiedono dei satelliti: ne è un esempio Dattilo, satellite naturale dell’asteroide Ida con cui forma un sistema binario.

NASA

L’asteroide 951 Gaspra,  fotografato dalla sonda Galileo nel 1991

Generalmente il diametro degli asteroidi non supera un kilometro di lunghezza, ma non mancano esemplari più voluminosi. Quelli più piccoli, invece, generati di solito dalle collisioni tra loro o con altri corpi celesti, sono chiamati meteoriti. Sono considerati asteroidi anche i residui delle vecchie comete: perso il ghiaccio di cui sono maggiormente composte, nel corso dei periodici avvicinamenti al Sole, conservano la parte rocciosa presente nella loro composizione. Gli scienziati sostengono che gli asteroidi siano residui del disco proto-planetario, un pianeta mancato durante la formazione del Sistema Solare. Questi oggetti non riuscirono ad unirsi fra loro a causa delle forti perturbazioni gravitazionali di Giove. Non a caso, la maggior parte degli asteroidi orbita in una zona chiamata “Asteroid Belt”, collocata proprio tra le orbite di Marte e Giove. Nei pressi di quest’ultimo infatti troviamo i “Troiani” mentre oltre la sua orbita e tra gli altri pianeti giganti vi sono i “Centauri”. Sono presenti anche in un’area conosciuta come “fascia di Kuiper”, situata oltre Nettuno. Si conosce molto poco degli asteroidi appartenenti a questa zona, vista soprattutto la notevole distanza che li fa apparire come piccoli puntini persino agli oculari dei telescopi più potenti. Tuttavia si sa che questa zona è una delle sorgenti principali delle comete.

Il caso di Celljabinsk, un’esplosione di 470 chilotoni

La difficoltà principale resta quella di individuare gli asteroidi più pericolosi in un lasso di tempo utile, in modo da poter intervenire. Ad accendere una lampadina sulla questione è stata la meteora di Celjabinsk, che nel febbraio 2013 ha devastato un’ingente area diffondendo il panico nelle strade sovietiche. Diecimila tonnellate di stazza condensate in 17 metri: una densità media pari la metà di quella dell’acqua. Quanto basta a generare un’esplosione di 470 chilotoni, la stessa energia sprigionata da una testata termonucleare. Dopo aver calcolato i numeri che soddisfano la curiosità degli scienziati senza risolvere il problema, si è chiesto come mai questo oggetto non sia stato avvistato prima, così da poter evacuare l’area interessata. Purtroppo non è sempre possibile prevenire catastrofi di questo tipo.

Nel caso di Celjabinsk hanno giocato a sfavore diversi requisiti: innanzitutto la notevole velocità dell’oggetto (circa 60.000 km/h) ed il fatto che fosse troppo piccolo da riflettere abbastanza luce solare, così da risultare opaco ai telescopi. Senza contare che al suo ingresso nell’atmosfera si trovava controluce, ed è stato visto solo a 30 secondi dalla sua frantumazione, a 20 km di quota.

Dalla NASA ai privati: sistemi di ‘vigilanza spaziale’

ifa.hawaii.edu

Concept grafico dei telescopi ATLAS
rilasciato dallo stesso John Tonry

Per questo motivo, al momento, i ricercatori di tutto il mondo stanno architettando un sistema telescopico di “vigilanza spaziale”. La NASA ha finanziato con 5 milioni di dollari, il progetto ATLAS (Asteroid Terrestrial-impact Last Alert System) che sarà sviluppato dall’Università delle Hawaii entro il 2015. Il sistema prevede l’uso di 8 telescopi dotati di sensori da 100 megapixel, così potenti da vedere un fiammifero acceso a New York da San Francisco, afferma fiero John Tonry, l’astronomo a capo del progetto. ATLAS sarà in grado di individuare oggetti poco luminosi dal diametro di 45 metri una settimana prima dell’impatto, mentre saranno necessarie tre settimane per gli oggetti lunghi il doppio. Un lasso di tempo sufficiente per sgomberare l’area a rischio. Ma nella caccia agli asteroidi c’è spazio anche per i privati. Così la fondazione B612 creata nel 2001 da ex astronauti NASA sta pianificando per il 2018 il lancio del Sentinel Space Telescope, un telescopio ad infrarossi che orbitando nei pressi di Venere riuscirà a scovare circa il 90% degli asteroidi potenzialmente pericolosi, prevedendone le rotte con decenni di anticipo. Nel 2016 invece la NASA lancerà la sonda OSIRIS – REX che giunta nei pressi dell’asteroide RQ36 per il 2018, studierà le influenze gravitazionali dei pianeti e delle radiazioni solari che potrebbero modificare l’orbita dei PHA (asteroidi dalla velocità superiore a 15.000 km/h) allo scopo di predirne le orbite con largo anticipo. Anche l’ESA si è operata nella realizzazione di un progetto che prevede l’investimento di telescopi da un metro di diametro: questo sistema consentirà di avvistare gli oggetti pericolosi con almeno un mese di anticipo dall’eventuale impatto. Tuttavia sul progetto in questione non sono ancora stati rivelati ulteriori dettagli.

Una volta individuati? Ecco le soluzioni

Ma una volta individuati, come evitarne l’impatto? Ecco di seguito alcune soluzioni al problema:

1 ) H.A.I.V (Hypervelocity Asteroid Intercept Vehicle)

Ricordate la missione NASA “Deep Impact” che nel 2005 impattò con successo il nucleo della cometa Tempel 1? Pare abbia ispirato il gruppo di ricerca noto come NIAC (Nasa Istitute for Advanced Concepts) che nel 2011 ha avviato lo sviluppo del progetto  “HAIV” (Hypervelocity Asteroid Intercept Vehicle). Distruggere un asteroide pericoloso mediante una bomba nucleare è un classico della fantascienza, ma potrebbe presto diventare realtà. L’HAIV è una navicella automatica, priva di pilota ed equipaggio, composta da due parti principali ancora non denominate. Questo veicolo spaziale incorpora ben due dispositivi d’urt: un leader ed un seguace. Giunto in prossimità dell’asteroide bersaglio, il leader

NASA

Funzionamento dell’HAIV fornito dal NIAC, cliccare sull’immagine per ingrandire

viene sganciato dalla sonda seguace e si accinge ad impattare l’asteroide. La sua esplosione genera un cratere nella roccia largo circa 100 metri. Successivamente, l’ordigno nucleare contenuto nella sonda seguace, colpisce l’asteroide dirigendosi quasi immediatamente nel cratere creato poco prima. Le simulazioni dimostrano che solamente una minima parte dei detriti generati dall’esplosione colpirebbe la Terra senza dare origine a danni irreparabili, afferma Bong Wie, docente della Lowa State University, Ames a capo del progetto. Sebbene al momento resti solo un’idea, il progetto pare abbia già ricevuto sostanziosi finanziamenti. In un lasso di tempo di circa dieci anni, il team di ricerca vorrebbe tentare un primo test, dal “ modico “ costo di 500.000 dollari, per verificare l’efficacia distruttiva del dispositivo.

PRO: Soluzione concreta, tecnicamente possibile ed economicamente sostenibile.

CONTRO: Non si conosce con certezza la dimensione e la direzione che i detriti, radioattivi, potrebbero assumere dopo la detonazione. Senza contare che gran parte di essi, a contrario di quanto si pensi, potrebbero colpire il pianeta causando ugualmente grosse catastrofi.

2) Il Trattore Gravitazionale

Per nulla distruttivo, ma sicuramente più ingegnoso, è il metodo del Trattore Gravitazionale.
Si è calcolato infatti che la spinta gravitazionale di una sonda riuscirebbe a deflettere un asteroide di 140 metri di diametro in rotta di collisione con la Terra. La sonda si

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avvicina al bersaglio ed entra nella sua orbita ad una distanza tale da esercitare attrazione sull’oggetto in questione. Poco alla volta, tramite micro manovre rigorosamente studiate per non perdere il “rimorchio” strada facendo, si indirizza la sonda su una rotta stabile e sicura, lontana dal pianeta, trascinando con sè l’asteroide e scongiurando così il fatale impatto. Questo è il risultato degli studi condotti dal gruppo di ricerca NASA chiamato J.P.L. (Jet Propulsion Laboratory) del California Institute of Technology situato nei pressi di Pasadena. L’intuizione avuta dagli esperti è ancora in fase embrionale, ma dalle simulazioni effettuate sembra poter avere buone possibilità di successo. Nella simulazione effettuata è stato accertato che un trattore del peso di circa una tonnellata, giunto a 120 metri di distanza dall’oggetto pericoloso, provoca uno spostamento di quest’ultimo di circa 0,22 micron al secondo.

PRO: metodo molto ingegnoso, probabilmente il più economico di tutti. Pare poter funzionare considerando il fatto che la possibilità di successo della missione è dovuta solamente alla massa dell’asteroide e non alla sua struttura interna.

CONTRO: è necessario agire con anni di preavviso. Richiede una notevole autonomia della batteria e un grosso dispendio energetico, poiché il “ viaggio “ risulta lungo, lento e dalla navigazione complessa.

Infine non si esclude il classico bombardamento nucleare a cura dei dipartimenti della difesa delle potenze mondiali. Metodo da sempre sconsigliato perché l’impatto con la superficie rocciosa dell’asteroide potrebbe risultare insufficiente a defletterne la rotta, quanto meno a frantumarlo per renderlo innocuo. Attualmente non siamo ancora pronti a contrastare una simile minaccia : in primis perché le probabili soluzioni non sono ancora state sperimentate ma solo simulate e di conseguenza non si ha alcuna certezza sulla loro efficacia. In secondo luogo alcuni dei metodi risulterebbero ugualmente inefficaci nei confronti di asteroidi dalle proporzioni gigantesche, specie se la tempistica con cui si interviene non garantisce la corretta procedura ed i tempi di reazione necessari affinché il procedimento vada a buon fine.

Di fondamentale importanza è invece la messa in opera di un sistema efficiente per l’identificazione degli astro-killer in tempo utile, così da consentirne lo studio della rotta e l’evacuazione delle zone più a rischio.