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Bolle di sapone per l’impollinazione: come sostituire le api

La diminuzione di molte specie coinvolte nell’impollinazione, tra cui le api, ha comportato la necessità di trovare un valido metodo per sostituire tale processo che, tra le altre cose, contribuisce al benessere di tutte le specie viventi presenti sull’intero pianeta.

Articolo a cura di Valentina Dentato

Come funziona l’impollinazione da parte delle api?

L’impollinazione è il trasporto di polline della parte maschile a quella femminile dell’apparato riproduttivo della stessa pianta o di piante differenti. È un processo realizzato dalle api e altri insetti ed è essenziale in quanto è alla base dei meccanismi di sopravvivenza di molte specie animali (compreso l’uomo). L’utilizzo ricorrente di pesticidi, le attività di disboscamento ed i cambiamenti climatici, hanno causato la morte di molte specie coinvolte nel processo di impollinazione. Questo ha portato l’uomo a capire come trovare una soluzione al problema evidenziato.

Diversi sono stati gli approcci tentati: l’impollinazione manuale che coinvolgeva gli operatori agricoli nell’applicazione dei granuli di polline direttamente sui fiori (metodo estremamente lento, in quanto si dovevano applicare i granuli su tutte le piante presenti nella fattoria), l’impollinazione automatica con soffiatori di polline o erogatori spray, ma le spese sostenute da questo metodo sono diventate sempre maggiori, a causa dell’aumento dei costi dei granuli di polline. Un ulteriore svantaggio di tale tecnica è legato al fatto che non tutto il polline soffiato finiva sui fiori, con il suo conseguente spreco. Da qui la necessità di trovare una soluzione alternativa, che permettesse di ridurre il lavoro a carico degli operatori per l’impollinazione manuale e di evitare gli sprechi: l’impollinazione robotica.

Un primo approccio è stato quello dell’ape biomimetica: mediante l’utilizzo di un impollinatore artificiale ingegnerizzato con un gel liquido ionico appiccicoso rivestito da peli di cavallo, Miyako, chimico dei materiali presso il Japan Advanced Institute of Science and Technology, ha ideato, insieme con i suoi colleghi, un drone lungo 4 centimetri che, proprio come un’ape, trasportava i grani di polline che si attaccavano ai peli di cavallo, da un fiore all’altro (Chechetka et al., 2017). Il sistema, però, non era efficiente in quanto il drone danneggiava i fiori.Miyako, dunque, insieme con il suo team, ha ideato un modo alternativo per trasportare il polline da un fiore all’altro senza danneggiare le piante: un drone che produceva bolle di sapone contenenti polline (Yang and Miyako, Soap Bubble Pollination, iScience (2020)).

Droni al posto delle api

Testando diversi tensioattivi (sostanze che hanno la proprietà di abbassare la tensione superficiale), è stato scelto quello con il minimo effetto sulle germinazioni. Per valutare l’efficienza del metodo, in laboratorio gli scienziati hanno bombardato fiori di pero di tre diversi alberi con bolle di sapone cariche di polline. Dopo circa 16 giorni, il frutto risultante era buono come quello dei fiori che venivano impollinati a mano. Utilizzando le bolle e non l’impollinazione manuale, si ottiene innanzitutto un risparmio temporale, ma viene anche usata una quantità minore di polline, con conseguente risparmio economico.

Miyako, inoltre, ha provato ad attaccare un soffiatore di bolle di sapone a un drone che, opportunamente programmato per volare a diverse altezze e velocità, riusciva a colpire circa il 90% dei fiori. Visto che molte bolle mancavano gli obiettivi, Miyako con il suo team stanno cercando di trovare una soluzione ottimale che permetta di migliorare la resa, magari con l’utilizzo di un robot a terra e con bolle biodegradabili.

Il timore di alcuni scienziati, da me condiviso, è che l’utilizzo di queste tecnologie potrebbe distrarre dallo sforzo di preservare le api, specie ad oggi in via di estinzione. Queste soluzioni, seppur importanti, sono molto drastiche e, possiamo dire, disperate. L’utilizzo di queste bolle potrebbe compromettere l’inquinamento del suolo, come afferma Simon Potts, agro-ecologo dell’Università di Reading. È davvero questa la strada giusta da prendere? O è un tentativo disperato di risolvere un problema che potrebbe essere risolto in maniera più sostenibile?