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Coronavirus: lo studio sul contagio a grandi distanze è stato ritirato

coronavirus studio ritirato

A quanto pare, non è possibile trasmettere il coronavirus a grandi distanze: lo studio che ne ha parlato è stato immediatamente ritirato.

Pochi giorni fa è stato pubblicato uno studio secondo il quale il nuovo coronavirus è in grado di coprire distanze di oltre quattro metri e sopravvive in aria per più di trenta minuti.

Il Practical Preventive Medicine, quotidiano che riservava uno spazio a tale rivelazione, ha improvvisamente deciso di ritirare la notizia: sembrerebbe che lo studio non sia stato condotto con estrema accuratezza e che abbia generalizzato un caso particolare che non dovrebbe interessare la generale diffusione del covid-19.

Perchè lo studio sul coronavirus è stato ritirato?

Alcuni epidemologi del governo cinese hanno pubblicato una ricerca da loro condotta, secondo la quale il nuovo coronavirus sopravvive in aria per più di mezz’ora e può coprire una distanza di oltre quattro metri.

Inoltre, stando a quanto dichiarato nella ricerca, la sua sopravvivenza nell’ambiente, in generale, dipende da svariati fattori quali temperatura e tipologia dei materiali. Ad esempio, potrebbe resistere fino a 37°C e per più di due giorni su vetro e altre superfici.

Perchè ritirare uno studio contenente informazioni con una certa accuratezza?

Sebbene i dati siano reali e rispecchino un evento realmente accaduto, si tratta in realtà di un caso isolato che non consente la generalizzazione delle osservazioni: in effetti, lo studio sul coronavirus lascia trapelare dei suggerimenti che contrastano completamente le buone norme da rispettare ormai diffuse in tutto il mondo, ossia lavare bene le mani, mantenersi ad un metro di distanza e tossire o starnutire in un fazzoletto (da buttare!)

Lo studio (poi ritirato) sulla diffusione del coronavirus a grandi distanze

Il lavoro dei ricercatori cinesi si basa su un evento accaduto il 22 gennaio in occasione del Lunar New Year; il paziente A prenota un biglietto, per l’esattezza l’ultimo rimasto, per un bus, e siede al secondo posto della seconda colonna (sagoma rossa in figura).

Il passeggero aveva già sintomi influenzali al momento del viaggio, ma la Cina ancora non aveva dichiarato l’emergenza coronavirus, per cui i viaggio è stato condotto con aria condizionata, con finestrini chiusi e senza l’obbligo di mascherine (il paziente A stesso non la indossava).

In effetti, le conclusioni dello studio in questo caso specifico sono più che giuste: dopo aver analizzato i video delle telecamere a circuito chiuso presenti sul bus, gli epidemologi hanno potuto affermare che il coronavirus, in ambienti chiusi, sopravvive per lungo tempo e può coprire maggiori distanze.

Il paziente zero (o A, in questo caso) ha complessivamente infettato almeno 13 persone presenti nella corsa corrente e in quesìlla successiva, avvenuta circa 30 minuti dopo. Non vi è, tuttavia, ragione di pensare che in generale si verifichi un tale scenario; resta invece essenziale disinfettare le superfici, specialmente quelle dei mezzi pubblici, e lavare sempre le mani prima di toccare qualsiasi altra cosa, nonchè indossare la mascherina in luoghi chiusi e affollati.

Lo studio, pochissimi giorni dopo, è stato ritirato: la natura aneddotica del caso in questione non dev’essere confusa come uno spunto per poter divulgare una questione scientifica di fatto errata; basti pensare al fatto che “i vicini di sediolino” del presunto paziente zero non sono stati infettati. E, lo ribadiamo, la Cina non aveva ancora dichiarato l’emergenza.

Si è trattato in sostanza di una concomitanza di eventi peraltro non necessariamente connessi: non vi è alcuna ragione di affermare quanto dichiara lo studio in questione in merito al covid-19.

Il contagio indiretto del coronavirus

Certo, un punto va chiarito: lavarsi le mani è assolutamente condizione indispensabile per limitare il contagio da coronavirus.

In che senso una tale misura può aiutare a limitarne la diffusione?

Va fatta innanzitutto l’importante osservazione che l’igiene personale è la prima regola da rispettare sempre e in ogni luogo per il rispetto della propria persona e di chi ci sta intorno. Ora più che mai, tra un’amuchina e una spruzzata d’alcool, sembra che tutti stiano seguendo questo undicesimo comandamento.

Sul Journal American Medical Association (JAMA) è stato pubblicato uno studio in cui sono studiati tre casi di pazienti affetti da coronavirus in un ospedale di Singapore.

Sono state analizzate le condizioni di ricovero dei pazienti in questione, ossia l’ambiente circostante e tutto ciò con cui questi venivano a contatto. I soggetti erano chiaramente in isolamento e il personale sanitario che vi entrava in contatto rispettava tutte le norme igienico-sanitarie imposte per casi del genere (mascherine, guanti, tute, occhiali protettivi e così via).

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Crediti: www.cdn4.nurse24.it

In particolare, l’obiettivo dello studio era quello di appurare la presenza del virus su TUTTE le superfici con cui i tre pazienti venivano a contatto, oltre che nell’aria.

Il risultato è che il virus non è stato rilevabile nell’aria ma sicuramente su ogni superficie toccata dal paziente infetto: dopo una profonda igienizzazione, però, non v’era più traccia del virus nell’ambiente.

La conclusione è che non è possibile provare i dati del caso isolato diffuso sulla trasmissione del coronavirus e poi ritirato, poichè non è possibile stabilire per quanto tempo, a quali temperature e con quali materiali sopravvvive il virus.