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Se il corpo umano diventa una password…

Un team di ricercatori dell’Università di Washington, capitanato da Shyam Gollakota, ha sperimentato un nuovo metodo per autenticarsi in modo sicuro usando il corpo umano come vettore per trasmettere le password

Human Password

Human Password, Close-up Engineering

Nella società 2.0, quella che affida la propria vita alla rete, sono sempre più numerosi gli attacchi hacker e altrettanto numerosi i nuovi metodi di autenticazione per proteggere i dati sensibili; un team di ricercatori dell’Università di Washington, capitanato da Shyam Gollakota, ha sperimentato un nuovo metodo per autenticarsi in modo sicuro usando il corpo umano come vettore per trasmettere le password. Una domanda nasce spontanea: riusciranno i pirati informatici ad hackerare la natura?

Le tecnologie odierne in materia come segnali bluetooth, WiFi e dispositivi RFID, sono facilmente intercettabili e crackabili; così i ricercatori hanno sfruttato le capacità dei sensori di impronte digitali, i quali propagano il segnale all’interno del corpo umano a una frequenza al di sotto dei 30 megahertz, per creare un nuovo metodo di comunicazione fra dispositivi elettronici.

Come funziona?

Lo smartphone viene impiegato come sistema per autenticare l’utente (input) mentre un altro sensore (applicato per esempio alla maniglia di una porta) funzionerà come output: il corpo umano diventa così un circuito che trasmette a una frequenza di 10 megahertz la password al dispositivo di identificazione.

 

Body-password
Body-password, credits: tomshw.it

Il sistema, che alcuni informatici hanno paragonato ad un modem degli anni ’50, invia una serie di segnali positivi e/o negativi per simulare il codice binario, con una velocità di 50 bit per i dispositivi fingerprint e 25 bit per i touchpad, per inviare password numeriche non troppo lunghe.

La concorrenza

Qualcosa di simile è stato realizzato in proprio dalla Panasonic che, al Ceatec Electronics Show 2016, ha mostrato il prototipo di una tecnologia capace di trasferire, usando il corpo umano come mezzo, fino a 100Kb al secondo; quella della Panasonic, al momento, non è ancora adatta all’impiego di autenticazione, ma le potenzialità sono molteplici.

Nota: nel titolo non è stato usato il congiuntivo dal momento che questa tecnologia è già realtà, non si tratta di un’ipotesi. Quel “Se” ha lo scopo di portare il lettore a riflettere sul fatto che se oggi possiamo usare il nostro corpo come password, figuriamoci fra qualche anno cosa saremo in grado di fare…