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Da Cantor a Galileo: come definire gli insiemi infiniti

Se è vero che l'affermazione "il tutto è maggiore della parte" non è più valida, quando parliamo di insiemi infiniti, a chi dobbiamo questa scoperta? Il primo fu Galileo Galilei che iniziò a studiare gli insiemi, ma è grazie a Cantor che possiamo davvero inizare a parlare di Infinito e di come misurarlo.

Categorie Matematica · Scienza e Scienziati
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Intuitivamente siamo portati a pensare che ogni insieme debba essere più numeroso di un suo sottoinsieme proprio. Tale convinzione è sicuramente vera nel caso degli insiemi finiti. Quando, tuttavia, si considerano gli insiemi infiniti, le cose mutano e l’affermazione secondo cui “il tutto è maggiore della parte” non è più valida. Il primo ad accorgersene fu Galileo.

insiemi infiniti

Le prime scoperte sugli insiemi infiniti

Nel suo trattato “Discorsi e dimostrazioni matematiche attorno a due nuove scienze”, egli riconobbe la possibilità di stabilire una corrispondenza biunivoca tra i numeri naturali e i loro quadrati. In altre parole, l’insieme di tutti i quadrati perfetti {0, 1, 4, 9, 16,…} è strettamente contenuto nell’insieme N dei numeri naturali. Ma se prendiamo un numero naturale n e lo accoppiamo con il suo quadrato n2, vediamo che nessun elemento dei due insiemi resta da solo; di conseguenza i due insiemi devono avere la medesima cardinalità.

Galileo considerò paradossale questa situazione, pervenendo alla conclusione che non fosse opportuno confrontare insiemi infiniti. Nel 1872, Dedekind superò questa posizione, utilizzando proprio questo paradosso scoperto da Galileo per definire gli insiemi infiniti: un insieme è infinito se e solo se può essere messo in corrispondenza biunivoca con un suo sottoinsieme proprio. Cantor, amico di Dedekind, si spinse oltre.

Insiemi infiniti: a nuova visione di Cantor

Dopo aver definito “equipotenti” due insiemi i cui elementi possono essere messi in corrispondenza biunivoca, chiamò “potenza del numerabile” quella di tutti gli insiemi equipotenti all’insieme N dei numeri naturali. Nel 1874 giunse alla scoperta sensazionale che l’insieme Q dei numeri razionali è numerabile. Per vedere come si può costruire una corrispondenza biunivoca tra Q ed N, consideriamo i numeri razionali disposti secondo la matrice in figura.

insiemi infiniti

Tutti i numeri della prima colonna hanno numeratore 1, quelli della seconda hanno numeratore -1, e così via, mentre quelli della prima riga hanno denominatore 1, quelli della seconda riga denominatore 2, e così via. Ora, seguendo il percorso indicato nella matrice dalle frecce, otteniamo la corrispondenza desiderata: il numero razionale 0 è associato al numero naturale 0, il numero razionale 1 al numero naturale 1, 1/2 a 2, -1 a 3, 2 a 4, -1/2 a 5, 1/3 a 6, 1/4 a 7, -1/3 a 8, -2 a 9, e così via.

Come si vede, si salta ogni frazione già comparsa (per esempio, 2/2=3/3=…=1) e il percorso a frecce sulla matrice ci indica il primo numero razionale da associare, il secondo, il terzo e così via: ad ogni numero naturale possiamo così associare uno e un solo numero razionale e, cosa più sorprendente, a ogni numero razionale è associato uno e un solo numero naturale, cioè la corrispondenza è biunivoca. Cantor provò, inoltre, che esistono insiemi che non hanno la potenza del numerabile. È il caso dell’insieme R dei numeri reali che possiede una potenza superiore a quella del numerabile, che chiamò “potenza del continuo”. La potenza del numerabile era soltanto il bebè della famiglia di infiniti di Cantor.

Una spiegazione semplificata

Immaginate una folla che entra in una grande sala da concerto o in un cinema. Per rispondere alla domanda se ci siano tanti spettatori quante sedie, potremmo certo usare il metodo noioso di contare tutti gli spettatori e tutte le sedie, e poi confrontare i risultati finali. Ma potremmo molto più semplicemente chiedere a tutti di sedersi e poi guardare: se ogni spettatore ha una sedia e ogni sedia è occupata da uno spettatore, la risposta è “sì”, perché il processo di sedersi ha dimostrato una perfetta corrispondenza “uno a uno”.

Un cameriere che ha un insieme di forchette e uno di coltelli si aggirerà per la sala mettendo un coltello accanto ad ogni forchetta: se, alla fine, nessuna posata resterà spaiata, vorrà dire che i due insiemi erano della stessa dimensione, cioè equinumerosi. George Cantor sfruttò questa semplice idea nella seguente definizione: “Due insiemi M e N sono equivalenti se è possibile metterli, con una qualche legge, in una relazione tale che a ogni elemento di ciascuno di essi corrisponda uno e un solo elemento dell’altro”.

Spesso i matematici oggi dicono che in questo caso gli insiemi M e N hanno la stessa “potenza” o la stessa “cardinalità”. L’importanza di questa definizione sta nel fatto che non richiede in alcun modo che M e N siano finiti: al contrario, si applica altrettanto bene al caso in cui gli insiemi contengano infiniti elementi. Ed erano proprio gli insiemi infiniti che a Cantor interessavano principalmente. Così facendo, Cantor si stava muovendo in un territorio proibito: spingendosi su sentieri davvero impervi, circondato dall’incomprensione e dal sarcasmo di gran parte del mondo matematico dell’epoca, decise coraggiosamente di confrontarsi con l’infinito in un faccia a faccia senza precedenti.