“Demon core”: la storia del suo inutilizzo e delle sue vittime illustri
La storia ci è testimone di quanto accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale. Il 6 agosto 1945 “Little Boy” fu sganciata su Hiroshima e il 9 agosto 1945 la medesima sorte toccò alla città di Nagasaki, sulla quella venne lanciata “Fat Man”. Questi sono gli unici due ordigni nucleari usati in un conflitto. Il 13 agosto 1945 il “Demon Core” era pronto a continuare la scia infernale su un Giappone ormai dilaniato.
L’agghiacciante destino del “Demon core (Nucleo del Demonio)”
Le bombe sganciate sul Giappone nella prima decade di agosto provocarono la morte di circa 200000 persone e in seguito – il 15 agosto 1945 – il Giappone dichiarò la sua resa tramite un comunicato radio registrato. L’imperatore Hirohito accettava le richieste degli alleati. Per gli scienziati del Los Alamos Laboratory nel New Mexico – alias Progetto Y – l’evento ha avuto un significato ancora più importante.
Il cuore funzionale della terza bomba atomica era costituito da una sfera di circa 6,2 chilogrammi di plutonio e gallio raffinato. Questo dispositivo – nome in codice “Rufus” – rimase all’interno del laboratorio di Los Alamos per essere sottoposto ad ulteriori test. Nonostante l’ordigno non fu mai sganciato, esso trovò l’opportunità di rilasciare le proprie radiazioni e di mietere vittime tra gli scienziati del laboratorio.
L’esperimento del “solletico alla coda del drago”
I rischi ai quali il team di scienziati del Los Alamos Laboratory andavano incontro erano ben noti. Essi indagavano la criticità del nucleo. Si cercava di individuare un metodo per misurare il punto in cui si sarebbe innescata una reazione a catena che avrebbe scatenato un’esplosione di radiazioni mortali. Il team di ricerca del Progetto Manhattan – il programma di ricerca e sviluppo in ambito militare che portò alla realizzazione delle prime bombe atomiche – indagò fino a che punto ci si poteva spingere prima di raggiungere la supercriticità del plutonio.
Essi coniarono un termine informale per definire il lavoro compiuto: parlavano di “solletico alla coda del drago” in quanto erano perfettamente a conoscenza dell’entità dei test che stavano conducendo. Se il drago fosse svegliato del suo sonno, gli effetti sarebbero stati devastanti poiché le radiazioni li avrebbero bruciati.
15 settembre 1945: la prima vittima del demon core
25 giorni prima della sua morte – la notte del 21 agosto 1945 – il fisico americano del progetto Manhattan, Harry Daghlian, violò i protocolli di sicurezza del laboratorio. Egli si recò nella struttura per continuare i test sulla criticità in solitaria, accompagnato da una sola guardia di sicurezza. Nel suo lavoro, Daghlian circondò la sfera con mattoni di carburo di tungsteno, che riflettevano i neutroni emessi dal nucleo su di essa, portandola verso la criticità. La costruzione della parete riflettente si concluse quando la strumentazione di monitoraggio segnò il raggiungimento del punto supercritico.
A quel punto Daghlian rimosse uno dei mattoni di tungsteno ma questo cadde accidentalmente sulla parte superiore della sfera. Tale fenomeno causò un bagliore di luce blu accompagnato ad un’ondata di calore. Nonostante la tempestiva rimozione del mattone, Daghlian avvertì da subito un formicolio alla mano. Con quel gesto ricevette una dose letale di radiazioni che lo portarono alla morte. Anche la guardia di sicurezza presente nella struttura ricevette una dose di radiazioni ma questa non gli fu letale.
30 maggio 1946: la morte di Louis Slotin
Le procedure di sicurezza, dopo la morte di Daghlian, furono revisionate e rafforzate ma non si rivelarono sufficienti. Un anno dopo infatti si verificò un evento molto simile. Il 21 maggio 1946, il fisico canadese Louis Slotin, basò i suoi esperimenti sulla criticità del nucleo di plutonio. Slotin abbassò una cupola di berillio sul “demon core” che aveva il compito di riflettere i neutroni al centro e di indurre il nucleo verso la criticità.
Serviva garantire che la cupola – chiamata tamper – non coprisse del tutto il nucleo: per far ciò Slotin inserì un cacciavite per creare un piccolo spazio che fungesse da valvola. Questo spazio avrebbe garantito la fuga di una quantità sufficiente di neutroni. Il metodo funzionò fin quando il cacciavite, scivolando, causò la caduta della cupola. Questa, per un istante, coprì completamente il nucleo in una bolla di berillio che rimbalzò contro troppi neutroni. Un secondo scienziato nella stanza, Raemer Schreiber, si voltò al cadere della cupola e osservò un lampo blu. Il nucleo divenne supercritico per la seconda volta.
Schreiber affermò che la durata totale del flash non fu superiore a pochi decimi di secondo e che Slotin reagì molto rapidamente. Benché fu veloce nel correggere il suo errore, le radiazioni gli furono fatali. Nella stanza erano presenti altre sette persone – tra cui un fotografo e una guardia di sicurezza – e tutti furono esposti all’esplosione di radiazioni ma solo Slotin subì le peggiori conseguenze.
La fine degli esperimenti sul “demon core”
Dopo i due incidenti mortali, i sistemi di sicurezza subirono ulteriori modifiche e questo significò la fine degli esperimenti pratici sulla criticità del nucleo. Si passò a nuovi esperimenti condotti da remoto. Fu allora che la sfera di plutonio, finora identificata con il termine Rufus, prese definitivamente il nome di “demon core”. Dopo l’incidente di Slotin e con l’ aumento dei livelli di radiazioni del nucleo, i piani per usarlo nell’Operazione Crossroads – le detonazioni nucleari condotte dagli Stati Uniti d’America nell’atollo di Bikini nell’estate del 1946 – furono accantonati.
Il plutonio venne fuso e reintegrato nelle scorte nucleari statunitensi, per essere usato in altri nuclei se necessario. Sicuramente la morte dei due scienziati non può essere paragonata alle vittime che il nucleo del demone avrebbe provocato se sganciato sul Giappone. Risultano ben chiari, quindi, i motivi che spinsero gli scienziati ad attribuirgli quel nome. Le coincidenze di questi due incidenti sono strabilianti: entrambi avvennero di martedì, nel 21esimo giorno del mese e sia Daghlian che Slotin morirono nella stessa stanza di ospedale.
Naturalmente, queste sono solo coincidenze. L’aggettivo demoniaco più che al nucleo è da ricondurre all’uomo fabbricatore di morte. Secondo Schreiber, le prime parole di Slotin dopo l’incidente furono semplici e consapevoli del destino che lo attendeva. Aveva confortato il suo amico morente Daghlian in ospedale, e sapeva cosa sarebbe successo dopo. “Bene”, ha detto, “questo è tutto.”