L’avventura di Daniel Bernoulli
Daniel Bernoulli, rampollo prodigio della grande famiglia Bernoulli; il padre, lo zio, due grandi matematici della Francia del XVIII secolo, menti formidabili, stimati da tutti, anche da chi li odiava. Al giovane Daniel gli brillavano gli occhi quando imparava le nozioni di calcolo. Si affascinava della scoperta dei vari metodi utilizzati sia dal padre che dallo zio, per dare spiegazione a misteriose questioni quotidiane, come: “Perché le bolle di sapone sono sempre rotonde?”, “ Quale dev’essere la forma di una pista da sci per favorire una discesa migliore?”.
Egli si stupì anche del fatto che Isaac Newton, che il padre insultava e diffamava continuamente, aveva scoperto i cosiddetti truismi che governavano il moto dei corpi solidi, ed esercitò sulla sua mente un’influenza incredibile che rivoluzionò tutta la sua vita. Pensò ben presto di trovare una soluzione per poter applicare le scoperte di Newton ai fluidi, ma dopo attente ricerche ne dedusse che il comportamento dello stato solido della materia è ben differente da quello dello stato dei fluidi, quindi ciò che il padre della fisica (Newton) era giunto a comprendere, gli sarebbe servito ben poco per portare a termine la sua ricerca: trovare un’equazione che descrivesse il comportamento di un fluido. Nel corso di una lezione privata col padre, Daniel apprese la nascita di un progetto entusiasmante che sarebbe stato decisivo per la sua carriera: riguardava l’energia, anche se ancora non veniva così definita, il suo nome era vis viva – che in latino vuol dire “forza viva” – in quanto appariva normale che fosse posseduta soltanto da cose animate.
Il buon Leibniz, (grande matematico ed amico della famiglia Bernoulli) sostenne fin dall’ inizio che tale “forza viva” dipendesse esclusivamente da due elementi: la massa e la velocità. Quindi la sua formula è cosi definita: vis viva = m v2. Un bisonte essendo abbastanza voluminoso e veloce possiede molta vis viva, una farfalla al contrario ne aveva pochissima. Quando il giovane ascoltava il padre era completamente privo di vis viva, si incantava e restava immobile senza battere ciglio. Il padre gli spiegava che tale “forza viva” era il carburante attraverso il quale un oggetto poteva essere sollevato,ad esempio era ciò che alimentava l’ascesa di una palla lanciata in aria, e man mano che la sua altezza cresceva, la vis viva tendeva a diminuire; raggiunto il culmine della sua altezza, la palla si fermava e cominciava a scendere verso il basso. Quindi in questo gioco di salita e discesa, vi si instaurava un legame tra vis viva ed altezza, se una di esse aumentava l’altra si riduceva e viceversa, ciò permise di scrivere che ALTEZZA + VIS VIVA= costante. Ed è proprio questo il motivo fondamentale che portò a sostenere il fatto che la vis viva di un oggetto non poteva mai essere distrutta, ma soltanto trasformata in tali condizioni in qualcos’altro, ovvero: in altezza. Ed è proprio da qui che deriva il principio di conservazione, definito dai fisici del secolo dopo e di cui noi tutti siamo abituati a conoscere, come: “principio di conservazione dell’energia”.
Nel prossimo articolo ci sarà la grande interpretazione che Daniel Bernoulli diede alle formulazioni del padre, con una scoperta che scioccò l’anima dei più grandi dotti, compresa quella del Professor Joahn Bernoulli (padre di Daniel).