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La storia della nascita del primo, vero antibatterico: il prontosil

Nei primi giorni di dicembre del 1935, la figlia di Gerhard Domagk, Hildegard, inciampò mentre scendeva le scale nella sua casa di Wuppertal. Purtroppo il grosso ago da cucito che aveva in mano le si conficcò nel palmo dalla parte dell’asola e si spezzò nella carne. Un medico estrasse il frammento metallico, ma qualche giorno dopo Hildegard fu debilitata da una forte febbre, dovuta a una grave infezione da streptococco diffusa a tutto il braccio. C’era bisogno di un antibatterico.

La situazione peggiorava di ora in ora, con grande angoscia di Domagk padre: all’epoca la prognosi per quel tipo di infezioni era, tristemente, quasi sempre infausta. I batteri si moltiplicavano senza sosta e non c’era medicina in grado di fermare la loro rapace conquista. C’era però un nuovo composto chimico che forse dava qualche speranza. Si trattava in realtà di un colorante industriale, un pigmento rosso che Domagk stava testando nel suo laboratorio senza farlo troppo sapere in giro.

Una scoperta di portata storica

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Gerhard Domagk

Il 20 dicembre 1932 aveva inoculato in due gruppi di topi una dose di streptococchi pari a dieci volte quella letale. A uno solo aveva anche somministrato il prontosil, il colorante di cui sopra, a distanza di novanta minuti dalla prima iniezione. La vigilia di Natale tornò in laboratorio e vide che tutti i topi del primo gruppo erano morti, mentre tutti quelli del secondo erano vivi.

La carriera di Domagk, fino ad allora un oscuro biochimico come tanti, ebbe una svolta. Mentre vegliava la povera Hildegard, continuava a pensare al prontosil. Questa sostanza, che contiene un atomo di zolfo (caratteristica poco comune nelle molecole organiche), mostrava virtù impreviste. Gli scienziati tedeschi dell’epoca ritenevano, stranamente, che i coloranti uccidessero i germi cambiando il colore dei loro organi vitali; ma il prontosil, antibatterico letale per i microbi negli organismi viventi, non aveva alcun effetto su quelli coltivati in provetta: i batteri continuavano a nuotare allegri nel mezzo di coltura diventata rossa.

Nessuno sapeva il perché, e a causa di questo mistero molti colleghi di altri Paesi avevano criticato la “chemioterapia tedesca” come metodo poco valido per la cura delle infezioni rispetto alla più efficace demolizione chirurgica. Anche Domagk non era convinto fino in fondo. Tra il 1932 e il 1935, tra gli esperimenti con i topi e l’incidente di Hildegard, si erano effettuati con successo test clinici sugli esseri umani, ma gli effetti collaterali si erano dimostrati a volte molto seri (per non parlare del fatto che chi assumeva il farmaco diventava rosso in volto come un gambero). Domagk non si faceva scrupolo a rischiare la vita dei volontari nei test per il bene della scienza, ma farlo sulla pelle della figlia era tutta un’altra questione. […]

Una decisione difficile: iniettare o no l’antibatterico

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Ma mentre Hildegard peggiorava sempre più, la mente del padre ritornava a quella vigilia di Natale e a quelle due gabbie, una piena di roditori iperattivi e l’altra di tanti piccoli cadaveri. Quando il medico che curava la ragazza annunciò che avrebbe dovuto amputarle il braccio, Domagk abbandonò ogni remora e, in aperta violazione di ogni immaginabile protocollo di ricerca, sottrasse qualche dose del farmaco dal laboratorio e iniettò quel liquido color sangue nel corpo di sua figlia.

All’inizio Hildegard sembrò peggiorare. Nelle due settimane successive alla somministrazione, la temperatura continuava ad alzarsi e ad abbassarsi di colpo. Poi un giorno, esattamente tre anni dopo l’esperimento con i topi del padre, si stabilizzò. Era chiaro che ce l’aveva fatta, e senza perdere il braccio. Tenendo a bada l’entusiasmo, Domagk non raccontò subito ai colleghi l’esito del suo esperimento clandestino, per non influenzare i risultati dei test clinici ufficiali che nel frattempo stavano andando avanti. Ma una notizia così clamorosa non rimase segreta a lungo. Era nato il primo, vero antibatterico.