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Come produrre acqua sulla Luna a partire dal terreno lunare

Grazie alla collaborazione tra Politecnico di Milano e OHB Italia, nel progetto ISRU (In-Situ Resource Utilisation) dell’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea, è stato scoperto come produrre acqua sulla Luna. È possibile grazie ad un processo chimico-fisico che trasforma la sabbia in ossigeno. Non a caso, il progetto ISRU è finanziato dall’ASI, l’Agenzia Spaziale Italiana, di cui OHB Italia è Prime Contractor, e mira al raggiungimento della colonizzazione umana del territorio lunare. L’obiettivo, sostiene il CEO della OHB-I Roberto Aceti, è quello di “portare l’Italia tra le grandi nazioni protagoniste delle esplorazioni spaziali“.

Dal lato industriale, OHB Italia fa parte del gruppo tedesco Orbitale Hochtechnologie Bremen il quale si occupa di sicurezza, tecnologia spaziale e sistemi satellitari. Motivo per cui è diventato leader nazionale nel settore. Dal lato accademico, invece, il Politecnico di Milano si è da sempre cimentato nel mondo della ricerca, mettendo a disposizione laboratori e docenti di alto livello.

L’impianto per produrre acqua dalla sabbia

Gli esperti hanno eseguito l’esperimento presso i laboratori del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali del Politecnico di Milano. Lo scopo della ricerca non è quello di estrarre acqua dal terreno, ma quello di estrarre ossigeno, per poi poter produrre acqua. Il processo termo-chimico alla base, deve riuscire a disaccoppiare l’ossigeno da una certa particella metallica, per poi accoppiarlo con l’idrogeno e produrre acqua.

Produrre acqua sulla Luna: 1° stadio

Nell’impianto viene inserita un miscela di gas, alla quale viene ridotta la pressione prima di entrare nell’elemento principale, il forno ad alta temperatura. Il forno presenta al suo interno una fornace, il cuore dell’impianto, nella quale è fatta cadere dall’alto la sabbia, simulante il terreno lunare. L’impianto rimane ad una temperatura elevata. Grazie all’interazione dei gas, metano e idrogeno, con gli ossidi presenti alla sabbia lunare, si ottiene la combinazione tra ossigeno e particelle di carbonio.

Il 2° stadio dell’impianto

L’ossigeno esce dal primo impianto sotto forma di anidride carbonica o ossido di carbonio. Si sposta in un secondo impianto, a temperatura inferiore. Si lavora l’ossigeno, in questo caso combinato al carbonio, in modo da poter produrre acqua anche sulla Luna.

Produrre acqua sulla Luna: 3° stadio

Il gas esce ad alta temperatura in forma gassosa, entra in un frigorifero, in modo da poter passare allo stato liquido, prima, e solido poi. Si raccoglie il ghiaccio all’interno del condensatore, in modo da poter separare l’acqua. L’impianto appena descritto rientra ancora in un sistema dimostrativo, tuttavia l’obiettivo è quello di renderlo operativo e realizzare un vero e proprio laboratorio lunare.

La colonizzazione umana sulla Luna

La capacità di produrre acqua in loco rappresenta un plus per le future missioni umane sulla Luna. Innanzitutto l’acqua rappresenta uno degli elementi fondamentali per il sostentamento di un equipaggiamento per tempi prolungati. Viene meno, inoltre, la necessità di sistemi a ciclo aperto che richiedono un rifornimento continuo da Terra. Di consegunza, si riducono i costi relativi al trasporto di materiali e si semplifica la logistica.

produrre acqua sulla luna

Lo scopo di questa perfetta sinergia tra mondo dell’industria e mondo accademico, è quello di portare tecnologie efficienti e funzionanti sul territorio lunare. L’Italia, in questo settore, è in grado di dare un notevole contributo. Oltre al Politecnico di Milano e OHB Italia, infatti, hanno preso parte alla causa anche le italiane Argotec, Telespazio e il centro di economia spaziale SDA Bocconi (SEE Lab).

La corsa alla vita sulla Luna richiederà un cospicua collaborazione tra le parti, ma soprattutto tra i Paesi. Si attenderanno i risultati del rover emiratino, ma anche gli aggiornamenti del progamma Artemis che mira a raggiungere il satellite entro il 2024. Nel frattempo non ci resta che osservare i tentativi di lancio della navicella Starship, ma anche sostenere i ricercatori italiani che si dedicano alla causa.