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Rigenerare le cellule della retina? È possibile

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La retina non ha la capacità di rigenerare qualora ne venisse intaccata la funzionalità, al contrario di molti altri tessuti dell’organismo. Si pensi per esempio al tessuto epiteliale o al tessuto osseo che, se danneggiati, hanno la capacità di tornare ad essere efficienti in breve tempo. Spesso un danno alla retina ha come conseguenza la perdita della funzionalità dell’occhio e quindi, della vista. Molte patologie, come il glaucoma, possono portare ad una situazione di questo genere.

Dalla University of Washington arriva uno studio, pubblicato sulla rivista Nature, che potrebbe rivoluzionare le prospettive terapeutiche nel campo delle patologie oculari. I risultati, sebbene ottenuti su topi, sono molto incoraggianti e potrebbero aprire nuove frontiere anche per l’essere umano.

La retina

Parte essenziale dell’organo della vista, la retina rappresenta una sottile membrana vascolarizzata formata da più strati di cellule sovrapposti, ognuno con la propria funzione. Fondamentali per la visione sono quelle cellule nervose, chiamate coni e bastoncelli, che sono in grado di captare la luce, eccitarsi e trasmettere un impulso elettrico lungo la fibra nervosa diretta poi al sistema nervoso centrale. Questi due tipi cellulari non sono ovviamente gli unici.

Indotta nei topi la rigenerazione della retina
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Lo studio dei ricercatori di Washington, guidati da Tom Reh, si focalizza su un altro tipo, le cellule gliali di Muller (MG), ovvero quelle cellule deputate a circondare le cellule nervose mantenendole separate dall’ambiente circostante. In altre specie diverse dall’uomo, come il pesce zebra, queste cellule sono in grado di dare vita a nuove popolazioni di cellule nervose qualora ci fossero dei danni a quelle già esistenti.

I risultati dello studio

Ad oggi le possibilità terapeutiche a seguito di danni alle cellule nervose della retina sono scarse. Ci sono alcune interessanti possibilità, come analizzato da Valentina Casadei su Biomedical Close-Up Engineering, ma si tratta comunque di protesi, seppur organiche.

I ricercatori americani si sono chiesti quali fossero le differenze tra i mammiferi e i pesci zebra in grado di determinare un comportamento così diverso dello stesso tipo cellulare.

Hanno individuato un gene espresso nei pesci zebra che nei mammiferi perde la sua funzione durante l’accrescimento. Il gene in questione è Ascl1. Quando un pesce zebra subisce un danno della retina, questo gene viene attivato e il suo prodotto è necessario e sufficiente a far sì che le MG prolifichino differenziando in cellule nervose.

Un gene per rigenerare la retina
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Nei mammiferi ciò non si verifica. Nei topi, anche a seguito di un danno alla retina, seppur ci sia una over espressione di Ascl1 le MG sembrano non rispondere allo stimolo. Questo comportamento è legato all’epigenetica e alla compattazione che il DNA assume nelle cellule gliali. Esse infatti metilano il DNA in modo da renderlo permanentemente silente.

A Washington però hanno provato a bypassare questo problema. Hanno dimostrato infatti che in topi adulti alti livelli di Ascl1, in associazione con la somministrazione di un inibitore della istone deacetilasi, sono in grado di indurre le cellule MG a dare vita a nuove cellule nervose all’interno della retina. Il ruolo dell’inibitore è quello di rendere il DNA più lasso in modo che il prodotto di Ascl1 possa legarsi ad esso inducendo la trascrizione dei geni necessari alla proliferazione.

Conclusioni

Lo stadio dello studio in questione obbliga senz’altro a non trarre conclusioni affrettate sulla reale validità della scoperta nell’essere umano. I ricercatori sono ottimisti sul fatto che la loro trovata possa essere di aiuto nel trattamento di numerose patologie del campo oculistico. La possibilità di rigenerare la retina sembra ancora una realtà lontana, ma il progresso scientifico riserva sempre nuove scoperte e nuove tecniche da mettere a disposizione della medicina. Certo è che se lo studio americano venisse portato avanti con successo anche su tessuti umani, sarebbe una vera e propria rivoluzione nel campo dell’oftalmologia.