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Le scorie radioattive sono un pericolo reale? Da cosa vengono prodotte?

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In un mondo sempre più energivoro, l’energia nucleare rappresenta una fonte cruciale, in grado di soddisfare grandi quantità di richiesta energetica con un impatto relativamente basso in termini di emissioni di gas serra. Tuttavia, la produzione di energia nucleare porta con sé un sottoprodotto significativo e problematico, poco compreso in Italia: le scorie radioattive o più correttamente chiamate, rifiuti radioattivi. Questi rifiuti, frutto delle fissioni nucleari, presentano un alto livello di radioattività e pongono sfide uniche per quanto riguarda lo smaltimento e la sicurezza.

Origine delle scorie radioattive

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Le scorie nucleari o rifiuti radioattivi sono il risultato diretto del funzionamento dei reattori nucleari. All’interno di questi reattori, gli atomi di uranio o plutonio vengono scissi per generare energia, un processo noto come fissione nucleare. Questa scissione produce non solo energia, ma anche prodotti di fissione radioattivi, elementi più leggeri come cesio e stronzio, nonché materiali trasmutati come plutonio, quando gli isotopi dell’uranio assorbono neutroni ma non si fissionano.

Quindi le scorie non sono altro che materiali di scarto che contengono elementi radioattivi, ovvero atomi il cui nucleo emette particelle ionizzanti, capaci di modificare la struttura atomica degli elementi con cui entrano in contatto. Comunemente associati ai reattori nucleari a fissione o al processo di arricchimento dell’uranio, questi rifiuti hanno origini più variegate. Ad esempio, in ambito medico, l’utilizzo di sostanze come il Cesio-137 nella radioterapia è una fonte significativa di scorie radioattive. Questa comprensione allargata del concetto di rifiuto radioattivo mette in luce la complessità e la pervasività di questa problematica, che si estende ben oltre il settore energetico.

Livello di radioattività delle scorie radioattive

La radioattività, ossia la quantità di particelle ionizzanti emesse ogni secondo da un materiale, decresce secondo un andamento esponenziale nel tempo. La cosiddetta “vita media” di un isotopo radioattivo, che rappresenta la costante di tempo in questa equazione esponenziale, varia notevolmente da un elemento all’altro, spaziando da frazioni di secondo a miliardi di anni. Questa varietà si riflette nella gestione delle scorie: alcune perdono la loro nocività in tempi brevi, mentre altre necessitano di periodi estremamente lunghi prima di poter essere considerate sicure. Per una categorizzazione più precisa, le scorie radioattive vengono divise in tre classi principali:

  1. Rifiuti a Bassa Radioattività: Comprendono circa il 90% del volume totale dei rifiuti e derivano principalmente da fonti mediche, industriali e dal ciclo del combustibile nucleare. La loro gestione è relativamente semplice, non richiedendo misure di protezione speciali, dato il basso livello di radioattività e la breve vita media degli isotopi presenti.
  2. Rifiuti a Media Radioattività: Occupano il 7% del volume totale e provengono da attività come lo smantellamento di reattori nucleari, includendo materiali come resine e rivestimenti metallici contaminati. Questi rifiuti, pur richiedendo precauzioni come schermature anti-radiazioni durante la manipolazione, non necessitano di sistemi di raffreddamento in fase di smaltimento, poiché il calore generato dal loro decadimento è limitato.
  3. Rifiuti ad Alta Radioattività: Benché rappresentino solo il 3% in volume, sono responsabili del 95% della radioattività totale legata alla produzione energetica. Sono i più complessi da gestire a causa dell’elevata radioattività e del calore generato dal decadimento degli isotopi. Comprendono il combustibile nucleare esausto e i residui del suo riprocessamento, termine che indica le operazioni volte a recuperare materiali utilizzabili dal combustibile utilizzato. Per questi rifiuti sono necessarie schermature avanzate e sistemi per la rimozione del calore prodotto.

Il problema della longevità delle scorie radioattive

Uno degli aspetti più sfidanti delle scorie nucleari è la loro longevità. Alcuni isotopi presenti nelle scorie, come il plutonio-239, hanno emivite di migliaia di anni, il che significa che rimangono pericolosi per tempi estremamente lunghi. La gestione sicura di questi materiali è quindi un problema che trascende le generazioni, imponendo responsabilità uniche alle società odierne per la protezione delle generazioni future.

Metodi di smaltimento e contenimento delle scorie radioattive

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Rappresentazione di un sito di immagazzinamento di scorie radioattive. Credits: MASE

Attualmente, il metodo più comune per lo smaltimento delle scorie nucleari è l’immagazzinamento in depositi geologici profondi. Questi siti sono scelti per la loro stabilità geologica e l’isolamento dai sistemi idrogeologici per minimizzare il rischio di contaminazione. Un esempio è il progetto Onkalo in Finlandia, un deposito scavato nel granito a centinaia di metri sotto terra. Tuttavia, la costruzione di tali depositi è complessa e costosa, e solleva preoccupazioni etiche e ambientali.

Di recente, in Italia, il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) ha pubblicato dell’elenco delle 51 aree idonee alla localizzazione del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi e del Parco Tecnologico. Con questo passo in avanti l’Italia si avvicina a una soluzione di lungo termine per la gestione sicura dei rifiuti radioattivi di bassa e media radioattività prodotti in Italia.

Alternativa: riprocessamento

Un’alternativa allo smaltimento diretto è il riprocessamento, o riciclo, delle scorie nucleari. Questo processo separa gli isotopi fissili, come il plutonio, che possono essere riutilizzati come combustibile nucleare. Tuttavia, il riprocessamento non elimina il problema delle scorie, ma lo riduce e trasforma, producendo comunque rifiuti radioattivi che devono essere gestiti.

Percezione pubblica e impatto ambientale

scorie radioattive
Quarto blocco dell’impianto nucleare di Chernobyl

La percezione pubblica delle scorie nucleari è frequentemente negativa, associata a timori di contaminazione e incidenti nucleari. Questo sentimento è influenzato da disastri nucleari storici come Chernobyl e Fukushima, che hanno evidenziato i rischi associati all’energia nucleare. L’impatto ambientale delle scorie, se non gestito correttamente, può essere devastante, con potenziali effetti sulla salute umana e sull’ecosistema.

Tuttavia, a differenza di quello che accade con le altre fonti energetiche, sia la scelta del luogo che l’intera gestione di questi rifiuti viene fortemente controllata, non solo a livello nazionale ma anche a livello internazionale da enti come l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) e l’Agenzia per l’Energia Nucleare dell’OCSE (NEA).

Gli enti regolatori

La sicurezza nucleare e la gestione dei rifiuti radioattivi sono ambiti in cui la cooperazione internazionale gioca un ruolo chiave. Diverse organizzazioni internazionali hanno contribuito a stabilire linee guida e standard, influenzando positivamente tutti gli aspetti della sicurezza nucleare.

L’IAEA: punto di riferimento nella sicurezza nucleare

L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) è l’organizzazione più influente in questo campo. Ha promosso una cultura di apprendimento reciproco e condivisione delle migliori pratiche in materia di sicurezza nucleare e gestione dei rifiuti radioattivi. Dopo l’incidente di Chernobyl del 1986, l’IAEA ha assunto un ruolo ancor più centrale, spingendo per una maggiore cooperazione internazionale e per l’armonizzazione degli standard di sicurezza nucleari a livello globale.

La NEA dell’OCSE: un centro internazionale per le nazioni sviluppate

L’Agenzia per l’Energia Nucleare dell’OCSE (NEA), con i suoi 28 membri, di cui 18 provenienti dall’UE, funge da fulcro internazionale per i paesi sviluppati riguardo alle questioni nucleari. La NEA, che comprende membri dal Nord America, dall’Europa e dalla regione Asia-Pacifico, rappresenta una considerevole porzione dell’espertise nucleare mondiale. Il suo ruolo è complementare a quello dell’IAEA, concentrandosi maggiormente sui processi e sulle procedure piuttosto che sugli standard. La NEA gestisce vari comitati, tra cui:

  • Il Comitato sulle Attività Regolatorie Nucleari (CNRA)
  • Il Comitato sulla Sicurezza degli Impianti Nucleari (CSNI)
  • Il Comitato sulla Radioprotezione e la Salute Pubblica (CRPPH)
  • Il Comitato per la Gestione dei Rifiuti Radioattivi (RWMC)
  • Il Comitato per la Scienza Nucleare
  • Il Comitato per il Diritto Nucleare

Il Programma di Valutazione Multinazionale dei Design (MDEP)

Il MDEP, gestito dall’OCSE/NEA, rappresenta un’iniziativa per condividere risorse, conoscenze e informazioni accumulate dalle autorità regolatorie nazionali nell’analisi dei nuovi design dei reattori. Questo programma mira a migliorare l’efficienza e l’efficacia del processo di valutazione, contribuendo a un approccio più standardizzato a livello internazionale.

I rifiuti del nucleare: confronto con altre fonti energetiche

È importante notare che, mentre le scorie nucleari presentano sfide uniche, tutte le forme di produzione energetica hanno i loro impatti ambientali. Ad esempio, i combustibili fossili rilasciano enormi quantità di gas serra e inquinanti, mentre anche l’energia rinnovabile, come l’eolico e il solare, ha un impatto ambientale in termini di uso del suolo e produzione di rifiuti.

Oltre il problema delle scorie radioattive vittime e inquinamento associato alle varie fonti energetiche

Un’analisi di Markandya e Wilkinson fornisce dati preziosi sull’impatto delle diverse fonti energetiche in termini di mortalità. Secondo il loro studio, l’energia nucleare registra circa 0,07 decessi per ogni terawattora (TWh) prodotto, un dato relativamente basso se confrontato con altre fonti energetiche. Ad esempio, il carbone causa 24,6 decessi per TWh, il petrolio 18,4, la biomassa 4,6, e il gas naturale 2,8. Al contrario, le fonti rinnovabili, quali il vento, l’acqua e il sole, mostrano i numeri più bassi in questa triste classifica, con 0,04 morti per TWh per l’eolico e solo 0,02 per TWh per l’idroelettrico e il solare.

Dal punto di vista delle emissioni di gas serra, un’altra analisi mette in evidenza le differenze tra le varie fonti energetiche. Le fonti fossili, come previsto, sono le più inquinanti, con il carbone in testa (820 tonnellate di CO2 equivalente per GWh), seguito da petrolio (729 t/CO2-eq per GWh) e gas naturale (490 t/CO2-eq per GWh). Le biomasse si collocano a metà classifica con emissioni variabili tra 78 e 230 tonnellate di CO2 equivalente per GWh. In netto contrasto, le fonti rinnovabili e l’energia nucleare si distinguono per le loro basse emissioni: l’idroelettrico produce circa 34 tonnellate di CO2 equivalente per GWh durante il suo ciclo di vita, mentre il solare, l’eolico e il nucleare registrano rispettivamente emissioni di 5, 4 e 3 tonnellate di CO2 equivalente per GWh. Questi dati evidenziano come le fonti rinnovabili e il nucleare possano giocare un ruolo cruciale nella riduzione dell’impatto ambientale dell’energia.

Da cosa vengono prodotte le scorie radioattive? Non solo dai reattori nucleari

Oltre alle centrali nucleari, ci sono diverse altre fonti e attività che producono rifiuti radioattivi. Questi includono:

Settore medico

  1. Diagnostica e terapia: L’uso di isotopi radioattivi in medicina, per esempio nella tomografia a emissione di positroni (PET) e in alcune forme di radioterapia, genera rifiuti radioattivi. Questi possono includere guanti, stracci, strumenti, siringhe e anche materiale biologico trattato con isotopi radioattivi.
  2. Ricerca medica: La ricerca che impiega materiali radioattivi per studiare malattie, sviluppare nuovi farmaci o testare effetti biologici contribuisce anch’essa alla produzione di scorie radioattive.

Industria e ricerca

  1. Industrie non energetiche: Alcune industrie utilizzano materiali radioattivi per scopi non energetici, come la radiografia industriale per ispezionare saldature e componenti strutturali, o in processi industriali come la sterilizzazione di attrezzature.
  2. Ricerca scientifica: Nel campo della fisica, della chimica e della biologia, la ricerca che utilizza isotopi radioattivi genera rifiuti radioattivi. Questi possono essere derivati da esperimenti in laboratorio o da acceleratori di particelle.

Applicazioni militari

  1. Armi nucleari: La produzione, il collaudo e lo smantellamento di armi nucleari generano rifiuti radioattivi. Questi rifiuti possono essere particolarmente complessi e pericolosi a causa degli elevati livelli di radioattività e della presenza di materiale fissile.
  2. Navi a propulsione nucleare: Navi militari, come sottomarini e portaerei a propulsione nucleare, producono scorie radioattive. Queste derivano dal combustibile esaurito e da altri materiali irradiati presenti nel reattore.

Attività estrattive

  1. Estrazione e lavorazione di minerali radioattivi: L’estrazione di uranio e torio e le attività di lavorazione producono residui radioattivi. Anche le miniere che non mirano specificamente all’estrazione di materiali radioattivi possono produrre rifiuti radioattivi come sottoprodotto.

Smaltimento e depurazione

  1. Impianti di depurazione delle acque e di trattamento dei rifiuti: Alcuni impianti possono concentrare incidentalmente materiali radioattivi presenti in tracce nell’acqua o nei rifiuti, portando alla formazione di rifiuti radioattivi.

Come abbiamo visto, le scorie radioattive sono un prodotto non solo dell’industria energetica nucleare, ma anche di una vasta gamma di attività in campi come la medicina, l’industria, la ricerca e la difesa. La gestione sicura di questi rifiuti è una sfida globale che richiede soluzioni tecnologiche avanzate e responsabilità a lungo termine.

Reale problema e prospettive future sulle scorie radioattive

La questione dello smaltimento dei rifiuti radioattivi, soprattutto quelli ad alta attività e, in misura minore, quelli a media attività, rappresenta un aspetto cruciale per il futuro dell’energia nucleare. In Italia, in particolare, si tende a sovrastimare questa problematica. Secondo le informazioni ottenute da Ispra e riportate in un articolo del Corriere della Sera, si stima che ci siano circa 15.000 metri cubi di rifiuti nucleari ad alta radioattività (o rifiuti di III Categoria) da gestire nel Paese.

Per mettere in prospettiva questa quantità, si può fare un confronto con le dimensioni di un campo da calcio regolamentare: immaginando di distribuire questi rifiuti su un’area di 105 metri per 68 metri con uno strato di 2.1 metri di altezza, si scopre che sarebbe sufficiente un solo campo da gioco per contenere tutti i rifiuti ad alta radioattività generati in Italia in un arco di 50 anni! Questa visualizzazione aiuta a comprendere meglio le reali dimensioni del problema dei rifiuti nucleari nel contesto nazionale.

La gestione delle scorie radioattive rimane un tema cruciale nella discussione sull’energia nucleare. Mentre la ricerca continua per trovare soluzioni più efficaci e sicure, il dibattito tra i benefici dell’energia nucleare e le sfide associate allo smaltimento dei suoi rifiuti rimane aperto. La tecnologia nucleare