Stampa 3D: una nuova tecnica basata sul colore della luce laser
Quando la maggior parte delle persone pensa alla stampa 3D, probabilmente immagina un oggetto relativamente grosso, costruito dal basso verso l’alto, uno strato alla volta. Una nuova tecnica, tuttavia, consente di produrre oggetti molto più complessi, e lo fa cambiando il colore della luce laser.
Attualmente in fase di sviluppo da un team della Stanford University, il processo è una variazione della cosiddetta stampa 3D volumetrica.
Breve panoramica sulle tecniche di stampa 3D più utilizzate
In parole povere, la stampa 3D volumetrica prevede fasci luminosi o modelli di luce attraverso la parte superiore e i lati trasparenti di un contenitore, all’interno del quale è presente una resina gelatinosa fotosensibile. Ovunque la resina è esposta alla luce, polimerizza (si solidifica) e il resto della resina nel contenitore rimane un gel. Spostando la sorgente luminosa in modo che raggiunga diverse parti della resina, è possibile, quindi, costruire gradualmente un oggetto tridimensionale. Quell’oggetto rimane poi sospeso nel gel, finché non viene finalmente ripescato.
Una tecnica, dunque, molto differente da quella usata dalle più popolari stampanti 3D, ossia basata sulla sovrapposizione di sottili strati di resina riscaldata. Eppure, quello degli impulsi laser è il metodo di stampa 3D più utilizzato in ambito industriale. La nuova tecnica di stampa ideata dai ricercatori mira proprio a diventarne il sostituto.
La nuova tecnica di “Triple Fusion Upconversion”
La tecnica di “triple fusion upconversion” di Stanford si basa su un sottotipo esistente di stampa 3D volumetrica, chiamata assorbimento a due fotoni, ed utilizzata per creare oggetti particolarmente dettagliati.
Questa nuova tecnica di stampa, detta tecnicamente con 2 fotoni a 2 step, rappresenta il futuro della stampa 3D.
Virgilio Mattoli, esperto di microfabbricazione dell’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit)
Il nuovo processo prevede l’utilizzo di luce laser blu ad alta energia per polimerizzare la resina in posizioni altamente precise. Tuttavia, se un raggio continuo di quella luce dovesse brillare nel contenitore, la resina si solidificherebbe per l’intera lunghezza di quel raggio. Per aggirare questo problema, il raggio inizia come luce laser rossa a bassa energia e diventa blu solo nel punto in cui è focalizzato.
Affinché ciò avvenga, minuscole goccioline rivestite di silice di speciali nanomateriali vengono disperse in tutta la resina. Ovunque la luce rossa sia focalizzata su queste goccioline, si verifica una catena di trasferimenti di energia, che alla fine converte i fotoni rossi a bassa energia in quelli blu ad alta energia. Di conseguenza, la resina polimerizza in quel punto esatto.
La stampa tradizionale a due fotoni sarà molto simile a quella che stiamo facendo qui […] tuttavia il processo fisico richiede un’enorme quantità di potenza laser per funzionare, e quindi è tipicamente limitato a scale piccole (da nano a micro). Il nostro processo richiede molta meno energia (abbiamo usato solo 4 milliwatt, che è meno di un tipico puntatore laser), quindi possiamo farlo su una scala più ampia (~ cm).
Dan Congreve, scienziato presso la Stanford University
Congreve e colleghi stanno ora cercando di accelerare il processo di stampa, possibilmente utilizzando più laser contemporaneamente, inoltre stanno esplorando l’uso della conversione a tripla fusione in pannelli solari più efficienti, che potrebbero convertire la luce a bassa energia in lunghezze d’onda utilizzabili a più alta energia.
La ricerca è descritta in un articolo che è stato recentemente pubblicato sulla rivista Nature.