Stromboli, la scoperta di nove vulcanologi italiani
In nove per undici anni intorno allo Stromboli. Alla fine hanno elaborato un modello, che ribalta completamente la visione dinamica dei processi eruttivi, ripreso dalla rivista internazionale Nature Communication.
In nove per undici anni intorno allo Stromboli. Alla fine hanno elaborato un modello, che ribalta completamente la visione dinamica dei processi eruttivi, ripreso dalla rivista internazionale Nature Communications.
I tipi tosti, questa volta, sono i vulcanologi che stanno portando avanti dal 2003-2004 un progetto, finanziato dal Dipartimento di Protezione Civile Nazionale, mirato a sviluppare tecniche innovative per monitorare l’attività del vulcano siciliano. Si tratta di: Dario Delle Donne, Riccardo Genco, Giorgio Lacanna, Giuseppe Maggio, Emanuele Marchetti, Marco Pistolesi, Pasquale Poggi, Giacomo Ulivieri, quasi tutti assegnisti di ricerca (7 su 9) del Laboratorio di Geofisica Sperimentale del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze, guidati da Maurizio Ripepe, nato a Catanzaro nel ’55, che, a Tipi Tosti, spiega: “I dati utilizzati per formulare il modello dinamico dello Stromboli, provenienti dalla rete di monitoraggio, sono stati analizzati ogni giorno, inclusi i giorni festivi, per undici anni. Ci lavoriamo anche oggi. Alla fine abbiamo raccolto le prove di una scoperta quasi rivoluzionaria. E cioè che la lava, durante le eruzioni, non risale direttamente dalla camera magmatica profonda, ma ristagna per lungo tempo nella parte superficiale del vulcano. Per cui il vulcano erutta non perché aumenti la pressione nella camera magmatica, bensì a causa del peso stesso del magma e, quindi, per la forza di gravità. Se avessimo ragione, la scoperta ribalterebbe completamente la visione dinamica dei processi eruttivi”.
Maurizio, ci spieghi qual è il valore della vostra scoperta?
L’idea generale in vulcanologia è che le colate di lava siano alimentate da un magma, che risale molto velocemente (fra i tre ed i dieci m/s) da una camera magmatica situata a dieci-quindici chilometri di profondità. Secondo questo modello classico, la lava risale in superficie perché la pressione, all’interno della camera magmatica, aumenta al punto tale da essere espulsa dal vulcano. Nessuno, però, sa dire per quale motivo la pressione aumenti. I meccanismi, che portano un vulcano ad eruttare lava, rimangono tuttora sconosciuti.
Quindi, la novità?
Beh, la novità del nostro lavoro consiste nell’aver raccolto prove inconfutabili – undici anni di dati – secondo cui la lava, durante le eruzioni, non risale direttamente dalla camera magmatica profonda, perché è già’ salita nell’arco di mesi – a volte anni e quindi molto lentamente – nella parte superficiale del vulcano. Quando la quantità’ di lava all’interno del vulcano raggiunge un limite critico, la lava fuoriesce per effetto del suo “peso” ed apre una bocca laterale.
Che tipo di implicazioni può avere questa scoperta, soprattutto in materia di protezione civile, ai fini della prevenzione?
Se avessimo ragione, il nostro modello rivoluzionerebbe la visione dinamica dei processi eruttivi. Il modello classico non ha modo di prevedere l’evoluzione e le conseguenze delle eruzioni di lava. La nostra tesi, al contrario, lega la posizione della bocca eruttiva alla quantità di lava presente nel vulcano e permette di prevedere con buona approssimazione non solo la sua evoluzione, ma anche i possibili effetti sul sistema magmatico profondo.
Questa tesi si può estendere ad altri vulcani?
Anche se l’analisi delle modalità’ di fuoriuscita della lava nel corso di altre eruzioni ci fa ben sperare, ancora non abbiamo evidenze che possano confermare la validità’ del modello su altri vulcani. Inoltre, non sempre i dati necessari sono disponibili ed occorreranno altri anni prima di avere conferme definitive.
Con quali strumenti avete operato?
Il modello che abbiamo sviluppato si basa su dati sismici, deformazione del suolo, radiazione termica e pressione acustica. Per cui gli strumenti utilizzati sono stati: cinque sismometri a larga-banda, tre inclinometri ad alta sensibilità installati in fori di cinque metri sotto terra, due telecamere termiche, un’ antenna di trecento metri di apertura di sensori acustici che rilevano piccole variazioni della pressione atmosferica. Tutta la strumentazione è stata installata sulla sommità del vulcano, a trecento e ottocento metri di distanza dai crateri attivi.
Cosa è stato particolarmente tosto in questo studio?
Installare la strumentazione. Ma, soprattutto, garantire la continuità’ del sistema di monitoraggio. In questo tipo di analisi è importante che tutto il sistema di registrazione funzioni senza interruzioni. Questo ha richiesto a ciascuno una presenza a Stromboli di quasi quattrocento giorni per undici anni ed una cura continua della strumentazione, che si trova tutta vicino la sommità del vulcano. Inoltre, poiché la maggior parte dei miei collaboratori è precaria, è stato molto difficile e stressante contare sulla continuità dei fondi per il personale.
Lo Stromboli è un vulcano particolare?
Sì, è unico. E non solo rispetto ai vulcani italiani. Stromboli ha un ritmo medio di dieci esplosioni ogni ora. Queste esplosioni possono registrarsi per ventiquattro ore il giorno e trecentosessantacinque giorni l’anno. Non esiste un altro vulcano sulla Terra che abbia un’attività’ simile e che si sia mantenuta moderata, ma persistente per quasi mille anni. Da un punto di vista scientifico, Stromboli offre quindi l’opportunità di studiare un vulcano da vicino e ripetere esperimenti in condizioni dinamiche, che rimangono quasi costanti nel tempo. Questa caratteristica rende lo Stromboli un laboratorio naturale ed uno dei vulcani più’ studiati dalla comunità scientifica internazionale. Ma anche una vera e propria attrazione di turisti ed appassionati di vulcanologia, che possono ammirare a poca distanza l’esplosione di un vulcano con brandelli di lava incandescente, scagliati con violenza fino a duecento- trecento metri di altezza.
Progetti per il futuro del tuo team?
Su questi argomenti abbiamo più collaborazioni con diversi Istituti di ricerca, soprattutto in Islanda, Giappone, Inghilterra e Francia. Oggi siamo coinvolti in due progetti europei e cerchiamo di esportare l’esperienza che abbiamo fatto a Stromboli su altri vulcani.