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Vaccino Covid19, da Oxford: “Se efficace, pronto in autunno”

vaccino covid19

Tutto il mondo aspetta un vaccino efficace contro il Covid19 e i ricercatori stanno lavorando in maniera incessante affinché sia messo a punto nel più breve tempo possibile. Di tutti i centri di ricerca impegnati in questa lotta, negli ultimi giorni abbiamo sentito spesso parlare del Jenner Institute (Università di Oxford), che ha dato il via ad una sperimentazione su un gruppo di volontari, dei quali fa parte anche la ricercatrice italiana Elisa Granato.

Il vantaggio del team di Oxford

Come riporta il New York Times, rispetto agli altri, il team inglese ha avuto un vantaggio importante: aver dimostrato in laboratorio con studi precedenti – riguardanti anche un coronavirus già esistente – che inoculazioni simili sono innocue per l’uomo. Questo ha permesso di fare un balzo in avanti non indifferente, pianificando un trial clinico che vedrà coinvolte oltre 6.000 persone entro la fine di Maggio. Se sarà dimostrata la sua efficacia e sicurezza, da Oxford fanno sapere che entro Settembre – seguendo un percorso “preferenziale” vista l’emergenza, creato ad hoc dalle autorità competenti – potrebbero essere già disponibili milioni di dosi.

Vaccino Covid19 testato sui macachi

Mentre i ricercatori attendono ora di verificare i risultati dei test sui volontari, hanno ricevuto un’altra incoraggiante notizia dal Rocky Mountain Laboratory del National Institutes of Health, nel Montana. Il vaccino messo a punto dai ricercatori di Oxford in collaborazione con un’azienda italiana, la Advent-Irbm (Pomezia) è stato somministrato dai ricercatori statunitensi in sei macachi rhesus, esponendoli poi al Sars-Cov-2, il nuovo coronavirus responsabile del Covid19, riferisce il NYT. Dopo quasi un mese, mentre gli altri esemplari non sottoposti al trattamento hanno contratto l’infezione, i sei macachi vaccinati sono risultati sani. Lo ha dichiarato Vincent Munster, uno dei ricercatori che ha partecipato allo studio. Il risultato assume un’importanza notevole se si considera che il macaco rhesus e l’uomo condividono il 97,5% della loro sequenza di DNA, secondo una ricerca pubblicata su Science nel 2007.

[bquote by=”Dr. Vincent Munster” other=”Ricercatore presso il Rocky Mountain Laboratory (Montana, USA)”]Il macaco di rhesus è praticamente la cosa più vicina che abbiamo agli umani[/bquote]

Il sostegno della Bill and Melinda Gates Foundation

La messa a punto di un vaccino contro il Covid19 è certamente un traguardo importante, ma è ovvio che questo non voglia dire che tutta la popolazione mondiale potrà essere vaccinata immediatamente, perché occorre tener conto dei costi e dei tempi di produzione per una distribuzione su larga scala. È per questo che Bill Gates, fondatore di Microsoft che da tempo si dedica alla filantropia, ha deciso di finanziare vari progetti che mirano allo sviluppo di un vaccino, compreso quello di Oxford, assicurando il suo personale impegno nel trovare il denaro necessario per coprire i costi produttivi se quest’ultimo dovesse risultare efficace.

Secondo Emilio Emini, direttore del programma HIV della Bill and Melinda Gates Foundation, sarebbe comunque utile avere più di un vaccino: alcuni, infatti, potrebbero essere più efficaci in gruppi particolari di persone (bambini, anziani, ecc…) oppure potrebbero avere dosaggi e costi differenti. Avere più vaccini a disposizione vuol dire avere meno ingorghi nel processo di produzione. Una cosa è certa: anche se non dovessero essere quelli attesi, i risultati degli studi condotti ad Oxford saranno di fondamentale importanza per tutti coloro che sono impegnati in prima linea nelle ricerche.

Le misure restrittive potrebbero rallentare la ricerca di un vaccino contro il Covid19

[bquote by=”Prof. Adrian Hill” other=”Direttore del Jenner Institute”]Siamo le uniche persone nel Paese a desiderare che il numero di nuove infezioni rimanga attivo per alcune settimane, in modo da poter testare il nostro vaccino[/bquote]

Sì, può sembrare un’assurdità ma le misure di contenimento e di isolamento sociale imposte nei vari Paesi potrebbe rallentare la ricerca di un vaccino anti-Covid19, come riferito dal prof. Hill. Secondo quanto afferma al NYT, se viene rallentato il tasso di crescita dei contagi lo studio potrebbe non dimostrare il reale impatto del vaccino: chi ha ricevuto un placebo, infatti, potrebbe non infettarsi più frequentemente di chi ha ricevuto invece una dose vaccinale. In tal caso, sarà necessario continuare i test in altre parti del mondo.