Qualche giorno fa ha cominciato a circolare sul web un video che mostrava le immagini di un laboratorio cinese intento ad apportare modifiche ad un virus esistente in natura. Si tratta del servizio di TG Leonardo, che è subito diventato virale poiché il virus in questione era la SARS o Sindrome Respiratoria Acuta Grave. Il servizio è del 2015, ma ha suscitato così tanto scalpore in quanto la malattia di cui sopra è causata da un coronavirus. Le immagini mostrano chiaramente degli scienziati in un laboratorio di Wuhan che modificano il virus della SARS dei topi con proteine di pipistrello per rendere il virus adatto ad infettare le cellule umane.
Ovviamente, non è mancato sin da subito il grido al complotto: cosa ci nascondono gli scienziati? Cosa è successo in quel laboratorio di Wuhan? Perché si investe nella ricerca scientifica “educando” un virus ad attaccare le cellule umane?
E subito la comunità si divide in due. C’è chi, sebbene da non esperto in materia, tenta di approfondire la questione mettendosi alla ricerca di fonti scientifiche che spieghino come mai un TG regionale italiano possa aver svelato, con tanta facilità, un possibile madornale errore, e c’è chi si fa prendere dalla voglia compulsiva di condivisione per incolpare qualcuno, chissà chi, del disastro che stiamo vivendo.
Nonostante sia un atteggiamento sbagliato, quest’ultimo risulta essere comunque molto comune tra persone che, non volendo accettare razionalmente lo stato di emergenza in cui riversa il nostro Paese (anzi, ormai tutto il Mondo), tentano in tutti i modi di svelare l’eventuale artefice di tutta questa situazione.
Dunque, se in un primo momento abbiamo tentato di placare il polverone diffondendo quanto già comunicato da alcuni scienziati sulla rivista Nature, oggi abbiamo deciso di approfondire la questione entrando nel cuore del problema e provando a dare la risposta ad una domanda importante: perché un virus dovrebbe essere messo in condizioni di poter attaccare le cellule umane?
Rispondere a questa domanda vuol dire considerare, prima di tutto, che una fetta dei fondi investiti per la ricerca scientifica è impiegata per fare esperimenti di questo tipo. Tutto questo ha un senso? Certo che ce l’ha. Da tempo, in tutto il mondo, si tenta di approcciare a malattie come il cancro, la fibrosi cistica, la SLA, la malattia di Huntington, l’Alzheimer, il Parkinson e altre ancora, con la terapia genica.
Con il termine terapia genica si fa riferimento all’inserzione di materiale genetico all’interno delle cellule umane con lo scopo di curare o prevenire l’insorgere di una determinata patologia. Come? Le malattie genetiche sono dovute alla presenza nelle nostre cellule di un tratto specifico di DNA (chiamato nel gergo gene) che, a causa di una mutazione nella sua sequenza, non funziona come dovrebbe. Con tale pratica il gene difettoso viene sostituito e così corretto, dando una nuova speranza di vita al paziente.
Ci sono due metodi principali di esecuzione: il primo prevede una semplice “infusione” del gene terapeutico (sì, proprio come se vi stesse facendo una flebo), nel secondo caso invece le cellule proprie del paziente vengono prelevate, “corrette” in laboratorio ed iniettate nuovamente. Ma come può essere inserito un gene nel nostro organismo? La risposta è molto semplice: sfruttando ciò che in natura ha sempre trovato nelle nostre cellule una casa ben accogliente ed ospitale, i virus! Nella terapia genica diversi tipi di virus noti sono resi prima di tutto innocui ed utilizzati solamente come “vettori”, per portare cioè nei nostri tessuti la copia corretta del gene.
Una volta a contatto con le nostre cellule, tali agenti infettivi vi penetrano all’interno ed inseriscono nel nostro DNA il gene, precedentemente “costruito” ad hoc in laboratorio. Ecco spiegata quindi l’importanza di maneggiare i virus in laboratorio e di studiarli ampliamente nelle loro caratteristiche, nonostante storicamente abbiano avuto sempre una brutta reputazione. Basti pensare che una delle prime sperimentazioni sulla terapia genica è stata fatta proprio con il virus dell’HIV, causa di una patologia grave e molto discussa che affligge nel mondo milioni di persone!
Ad oggi la terapia genica ha salvato la vita di migliaia di bambini e non, affetti da patologie genetiche rare ed invalidanti e che non avrebbero avuto nessuna altra speranza. Questo è stato possibile solo grazie allo sforzo di tanti ricercatori che ci hanno creduto fin da subito e, perché no, anche grazie ai virus!
Maneggiare i virus in laboratorio non è facile! Bisogna seguire miriadi di procedure di sicurezza e di controllo qualità non indifferenti, ben diverse da un semplice laboratorio di analisi. Si lavora solo con tuta, occhiali di protezione, mascherine ed obbligatoriamente sotto cappa. I controlli eseguiti dagli enti regolatori sono molto stringenti e severi, ed è quindi davvero difficile e senza alcuna ragione scientifica che tali virus possano “scappare” o essere “armi” al di fuori dell’ambiente di laboratorio.
I virus da laboratorio sono molto “precisi” perché ingegnerizzati con tecniche di modifiche genetiche che, per quanto sofisticate, apportano dei cambiamenti molto semplici nel genoma e facilmente rintracciabili, come una sorta di “impronte” che non è possibile non riuscire ad identificare. Per questo motivo, uno scienziato che guarda la sequenza del SARS-CoV-2 riesce con molta facilità a dire che non può essere frutto di un lavoro di laboratorio, come è stato anche dimostrato da un recente articolo in merito pubblicato dalla rivista Nature Medicine.
Come si può dimostrare ciò? Prima di tutto, la sequenza è molto semplice, priva di inserimenti rintracciabili da parte di tecniche genetiche e sovrapponibile in parte con quella di altri virus della stessa famiglia già noti. In più, è stato osservato che il legame che il virus instaura con il recettore ACE2 sulle cellule del nostro organismo non è ottimale, ma anzi molto forzato. Insomma, i software di ingegneria genetica che si usano normalmente in laboratorio avrebbero potuto fare molto di meglio se il virus fosse stato davvero creato in laboratorio. Il tutto quindi avvalora l’ipotesi di un semplice processo evolutivo e non di un esperimento di ricerca andato a male.
Si ringrazia per la collaborazione alla stesura dell’articolo Isabella Santangelo, dottoressa in Biotecnologie Mediche e Farmaceutiche.