Molti di noi amano concedersi un momento di relax ogni tanto, gustando un buon bicchiere di vino, una birra o un drink rinfrescante. Sappiamo che a seconda del tipo di bevanda alcolica e della quantità assunta, ci possiamo aspettare determinate conseguenze.
Ma realmente, chimicamente quindi, a che cosa si fa riferimento? E perché l’alcol genera in noi determinati effetti?
Quando parliamo di bevanda alcolica, qualsiasi essa sia, la base è sempre la stessa. Stiamo parlando del gruppo alcolico, nello specifico associato a due atomi di carbonio, a formare l’etanolo. Il gruppo alcolico -OH (ossidrilico) è uno dei gruppi più rilevanti della chimica organica. Esso è quinto nella lista delle priorità dei gruppi funzionali, utilissimo industrialmente, e anche piuttosto semplice.
Il gruppo presenta l’atomo di ossigeno ibridato sp³. I primi nonché principali esponenti della categoria alcoli sono, nell’ordine di nomenclatura IUPAC, metanolo, etanolo, butanolo e propanolo. Tradizionalmente sono chiamati alcol metilico, a. etilico, a. butilico e a. propilico.
Inoltre classifichiamo un alcol come primario, secondario oppure terziario a seconda del tipo di carbonio cui è legato, anch’esso ugualmente nominabile. Tutto ciò ha rilevanza nella reattività del composto, infatti gli alcoli terziari, dando origine agli intermedi carbocationici più stabili. Questo significa che risultano più reattivi e dunque facilmente saggiabili in laboratorio tramite l’impiego di reattivi semplici come acido cloridrico. Un’altra classificazione utile è quella che rileva dioli e trioli, ovvero composti con rispettivamente due e tre gruppi ossidrilici.
Parlando di proprietà, la molecola è caratterizzata da buona polarità vista la differenza di elettronegatività fra i due atomi componenti. Questo si riflette in punti di ebollizione più alti rispetto agli alcani di peso molecolare simile. In più vi è una buona propensione a formare legami a idrogeno nel composto allo stato liquido. Serve una discreta energia per separare due molecole di alcol legate fra loro, rispetto a quella utile a separare due molecole del corrispondente alcano.
Tutte queste, possono sembrare inutili divagazioni teoriche, ma è proprio da qui, che possiamo stilare la carta d’identità di un qualunque composto organico. Da essa poi possiamo dedurre “comportamenti” come la solubilità, la volatilità etc . Ad esempio, l’etanolo, date queste premesse, sarà meno volatile della benzina, e lo sappiamo senza dover piazzare due bottiglie al sole ed aspettare, muniti di cronometro, di vedere chi evapora prima. Sempre da queste considerazioni possiamo poi dedurre come l’alcol che ingeriamo più o meno abitualmente, l’etanolo, interagisce con il nostro corpo secondo regole biochimiche ben definite.
Al netto di questi dati e di tantissimi altri in ambito biologico, si è riusciti a scoprire e catalogare molti degli effetti che l’alcol ha sul corpo umano. Cominciamo dunque dalla sua introduzione nel nostro organismo, per via orale chiaramente. L’etanolo, per il nostro organismo è a tutti gli effetti una tossina. Dopo esser stato assorbito a livello dello stomaco e dell’intestino tenue, viene distribuito ai liquidi di tutto il corpo. Dopo di che, viene metabolizzato e assimilato dallo stomaco e dal fegato, oltre che espulso tramite sudorazione e urine.
Principalmente l’alcol può essere metabolizzato secondo tre vie: la principale è gastro-ematica ed è ad opera dell’enzima alcol deidrogenasi (ADH), ma in caso che le quantità assunte siano eccessive entrano in gioco la seconda e la terza via. Si attivano quindi gli enzimi citocromo 2.1 (che fa parte del citocromo P450) e catalasi.
Il primo e più notevole di questi tre enzimi, che metabolizza circa il 70% dell’alcol assunto in condizioni standard, è presente in quantità e qualità diverse. Abbiamo un minimo di nove tipologie con diversi compiti, in funzione del tipo d’individuo. Ad esempio, è normale che le donne ne possiedano minori quantità, dunque sarebbero statisticamente più vulnerabili agli effetti dell’alcol, lo stesso per le persone di origine asiatica.
L’alcol deidrogenasi agisce sull’etanolo mediante due strumenti, il primo è un atomo di zinco, che ha il compito di fissare il gruppo alcolico, mentre il secondo è il coenzima NAD che si occupa dell’ossidazione, di norma attivo nella difesa dai radicali liberi. Al termine di questi processi abbiamo che l’etanolo tramite l’enzima acetaldeide deidrogenasi, diviene acetaldeide una molecola per noi tossica e in grado di aggredire il DNA. Rapidamente essa viene poi convertita in acido acetico, normalmente smaltibile mediante Ciclo di Krebs.
La maggior quantità di alcol deidrogenasi che possediamo alloggia nel fegato, ed è per questo che l’associazione negativa alcol-fegato è nota ai più. Parlando di percentuali, circa il 90% dell’alcol che ingeriamo viene smaltito a carico del fegato e del sistema circolatorio, mentre un percentile oscillante fra il 5 ed il 10% viene espulso tramite sudorazione ed urine.
Citiamo brevemente anche la seconda via metabolica, che si occupa, diventando preponderante, di trattare l’etanolo nel consumo cronico di bevande alcoliche, ovvero l’enzima citocromo 2.1. Esso è un altro agente ossidante, facente parte del MEOS (sistema microsomiale di ossidazione dell’etanolo) e coinvolto anche nella detossificazione di numerose sostanze, come ad esempio i farmaci. Questo enzima è presente a livello del reticolo endoplasmico liscio degli epatociti, che è ipertrofico negli alcolisti.
La terza via metabolica invece, che sfrutta l’enzima catalasi, una metalloproteina, procede sempre per ossidazione, ma si occupa di metabolizzare solo un 10% dell’etanolo, in casi di alcolemia elevata.
L’alcol deidrogenasi è in grado di ossidare anche altri alcoli oltre l’etanolo. Questo è in realtà molto pericoloso, se reagisce con il metanolo ad esempio, produce formaldeide. Quest’ultima molecola è molto tossica, attacca le proteine denaturandole, e dunque è in grado di indurre cecità (vengono attaccate proteine della retina). Se si assumono quantità nell’ordine di un bicchiere, possono prodursi effetti devastanti che possono sfociare nella morte del soggetto.
Questo enzima è dunque un nostro grande alleato, ma può agire in maniera negativa se stimolato con sostanze non consone. Inoltre, alcune interazioni, come quella con l’aspirina, possono mitigare notevolmente l’azione benefica del farmaco stesso.
Gli effetti dell’etanolo sull’organismo coinvolgono diversi apparati. A livello gastrointestinale danneggia all’esofago, favorisce l’insorgenza di gastriti e le disfunzioni delle strutture villari intestinali. A livello del sistema endocrino, l’alcol induce steatosi sul fegato, cioè accumulo di grasso in piccole vescicole citoplasmatiche.
In caso di assunzione eccessiva e prolungata nel tempo, favorisce fibrosi epatica, epatite e cirrosi, oltre a gravare sull’apparato circolatorio e sul sistema nervoso. Parliamo dunque di un composto che interagisce in maniera negativa con gran parte del nostro organismo. Un suo utilizzo smodato può portare a gravi patologie, oltre al fatto che crea dipendenza e crisi di astinenza. Si ricordi anche l’effetto teratogeno in riferimento ai soggetti in gravidanza. Non si è del tutto provato il motivo esatto per cui l’etanolo dia dipendenza, ma si è ipotizzato il suo ruolo nella modificazione dei circuiti celebrali collegati ad assuefazione e piacere.
“Le patologie del fegato sono responsabili di circa 2 milioni di morti ogni anno in tutto il mondo, la metà dei quali a causa di complicanze della cirrosi epatica. A loro volta, circa il 50% di tutti i decessi correlati alla cirrosi possono essere attribuiti al all’alcol. Una prevalenza più elevata di cirrosi è legata a un maggior consumo dello stesso”.
Prof. Giovanni Addolorato, Policlinico Gemelli, Roma