“Due treni A e B distano tra loro 100 km e, ad un certo istante, si muovono uno verso l’altro entrambi con una velocità di 50 km/h. Una mosca, posta sul vetro anteriore del treno A, si dirige con una velocità di 75 km/h verso il treno B. Quando lo raggiunge inverte la direzione e, conservando la medesima velocità, si dirige verso il treno A. La cosa si ripete ogni volta che la mosca, viaggiando ad una velocità superiore a quella dei due treni, incontra uno di essi. Quanti chilometri percorre la mosca prima di finire schiacciata nella collisione dei due treni?” Questo problema è stato sottoposto a John von Neumann.
Con un po’ di semplici calcoli si trova che la mosca tocca il treno B dopo 4/5 h, percorrendo 60 km; quindi incontra il treno A dopo 4/25 h, percorrendo 12 km e così via. Ad ogni cambio di direzione percorre un tratto lungo 1/5 del precedente in un tempo pari a 1/5 del precedente. Dunque, la distanza d percorsa dalla mosca nel suo “infinito” tragitto a zig zag tra i due treni è data da:
d = 60+12+12/5+12/25+… = 60 (1+1/5+1/25+1/125+…)
Tra parentesi compare la serie geometrica di ragione 1/5 che, come è noto, converge a 1/(1-1/5)=5/4, per cui d=75 km.
Un metodo alternativo, decisamente più rapido (oltre che più semplice), consiste nell’osservare che i due treni, viaggiando alla medesima velocità, si “incontrano” (o meglio schiantano) a metà del loro percorso totale, in corrispondenza del chilometro 50. In base alla loro velocità, la collisione avviene esattamente dopo un’ora: in tale intervallo di tempo, la mosca, che si muove a 75 km/h, percorre esattamente 75 km.
Si tratta di un ragionamento elementare, alla portata di chiunque ma che pochi riescono a cogliere. Tale problema della mosca fu posto al matematico e fisico ungherese John von Neumann (1903-1957) da uno dei suoi colleghi. “75 km”, rispose subito von Neumann. Il suo collega esplose: “Ecco, vedi, non ci sei cascato. Hai capito e risposto subito perché sei dotato di mente acuta, sei molto intelligente, ma la maggioranza delle persone si mette a calcolare la somma della serie”. E von Neumann ribatté preoccupato: “E che cosa credi che abbia fatto?”
Il genio tra i geni non aveva pensato nemmeno per un attimo ad un altro modo di risolvere il problema, si era “limitato” a calcolare istantaneamente la somma della serie, a mente, poggiandosi sulle sue prodigiose capacità di calcolo. Semplice e rapido… a patto di chiamarsi von Neumann. Uno che a 6 anni intratteneva gli ospiti di casa ripetendo a memoria intere pagine di un elenco telefonico che gli erano state mostrate solo alcuni minuti prima; uno che alla stessa età scambiava battute in greco antico con il padre e svolgeva mentalmente (e correttamente) divisioni tra due numeri di otto cifre; uno che a 10 anni aveva letto un’intera enciclopedia storica e sapeva dialogare in sei lingue; uno che a 22 anni si laureava in ingegneria chimica (a Zurigo) e matematica (a Budapest).
Uno che da bambino in bagno si portava spesso due libri, per timore di finirne uno e non avere di che leggere per il tempo restante. Uno che avrebbe lasciato un segno indelebile nei campi più disparati, dalla logica all’analisi funzionale, dalla teoria dei gruppi alla topologia, dalla meccanica quantistica alla teoria dei giochi, dall’informatica alla teoria degli automi cellulari.
Se siete riusciti a leggere questo interminabile articolo, molto probabilmente lo avrete fatto avendo sotto mano un computer. Ora, trascurando le marche e i dettagli poco significativi, andate al nocciolo essenziale, all’architettura di base del calcolatore. Quest’ultima prevede due tipi diversi di memorie, ROM e RAM; una unità centrale di calcolo (CPU) dotata di una specifica unità logico-algebrica (ALU), e le porte di accesso e uscita (input e output). Immaginate chi l’ha progettata per primo? Vi dice nulla il fatto che si chiami “architettura di von Neumann“?
La cosa straordinaria è che fu proprio la progettazione della struttura dei calcolatori a spingere von Neumann successivamente verso l’idea di un “automa cellulare”, un sistema in grado di autoreplicarsi, idea che si rivelò clamorosamente simile ai meccanismi di replicazione del DNA, scoperti solo diversi anni più tardi da Watson e Crick.